Nuova udienza a carico dell’attivist* imputat* nello stesso procedimento contro Ilaria Salis. L’impianto accusatorio vacilla: nessuno dei testimoni ne riconosce il volto. Fuori dal tribunale, un sit in degli attivisti tedeschi. Presente in aula anche l’europarlamentare Carola Rackete e una delegazione di Left
Le catene ai polsi e la scorta di due agenti con il volto coperto. Una scena già vista che si è ripetuta anche la mattina del 4 giugno nel tribunale di Budapest dove si è tenuta una nuova udienza a carico di Maja T., antifascist* non binari* imputat* nello stesso procedimento che vede sotto processo l’europarlamentare italiana Ilaria Salis.
Fuori dall’aula decine di attivisti arrivati dalla Germania per esprimere solidarietà sono stati ripresi e fotografati da blogger di estrema destra ungheresi nell’ormai consueta attività di dossieraggio e intimidazione.
Dopo aver denunciato le condizioni inumane e degradanti a cui è sottopost*, detenut* in un carcere maschile in quanto persona non binaria, Maja T. ha chiesto che le vengano concessi i domiciliari.
L’udienza
All’ingresso in aula di Maja gli attivisti e le attiviste presenti, arrivati anche dalla Germania per esprimere solidarietà e vicinanza, si sono tolti le giacche mostrando magliette colorate in una sorta di coreografia arcobaleno che riproduceva la bandiera del Pride. Una presa di posizione pacifica con cui i presenti hanno aggirato la richiesta del giudice di non mostrare simboli politici all’interno dell’aula. Un gesto simbolico che esprime anche lo sconcerto per le recenti misure del governo ungherese per vietare i Pride in tutto il paese e limitare il più possibile i diritti della comunità Lgbtq+.
Nel corso dell’udienza Maja ha chiesto che che le vengano concessi i domiciliari in Ungheria. Una richiesta motivata dalla eccessiva durezza delle condizioni detentive a cui è sottoposta da un anno a questa parte. «È una custodia cautelare in cui non mi è permesso studiare - aveva denunciato in aula nel corso della scorsa udienza - in cui non posso lavorare, in cui non mi sono stati concessi libri o visite mediche tempestive, in cui mancano luce diurna e cibo sano». Una situazione insostenibile e ingiustificata che, sempre secondo le parole di Maja T, avrebbe un solo scopo: «Caro pubblico ministero, siate sincero, sperate che l’isolamento e la fame mi pieghino portando a una sentenza senza processo».
Sulla richiesta di domiciliari il giudice non si è pronunciato ma, ancora una volta, l’impianto accusatorio sembra vacillare. Nel corso dell’udienza di oggi sono state chiamate a testimoniare due persone che avrebbero assistito alle presunte violenze del 2023. Ma le loro parole non hanno lasciato spazio ai dubbi: nessuna delle due ha riconosciuto Maja. Così come il suo volto non appare chiaramente in nessuno dei video mostrati in aula.
La prossima udienza è fissata per venerdì 6 giugno, ma sembra al momento improbabile che a due giorni dalla richiesta il giudice possa esprimersi sui domiciliari. All’uscita dall’aula Maja è stat* accolt* dai cori «Free Maja» e «Free all antifas» scanditi dai presenti.
Il clima
Fuori dal tribunale, infatti, si è svolto per tutta la mattina un presidio di solidarietà sotto gli occhi attenti di un ingente spiegamento di forze dell’ordine. Decine di attivisti antifascisti sono arrivati nella capitale ungherese dalle Germania, per esprimere la propria vicinanza. Musica, cori e parole si sono susseguite per tutta la mattina per sensibilizzare l’opinione pubblica e informare i cittadini dell’ennesimo processo politico in corso a Budapest.
A differenza di quanto accaduto in occasione delle scorse udienze, questa volta i militanti dell’estrema destra ungherese non si sono presentati in tribunale per un contro-presidio. Davanti e dentro al palazzo di giustizia, però, diversi autori di blog e siti di matrice neonazista hanno ripetutamente fotografato e filmato i volti e le azioni di chi si apprestava a seguire l’udienza e di chi all’esterno manifestava per chiedere libertà per Maja T.. Una sorta di attività di dossieraggio da parte dell’estrema destra che sembra sempre più diffusa e a cui si è assistito anche nel corso delle udienze a carico di Ilaria Salis.
Le reazioni
All’udienza era presente anche l’europarlamentare Carola Rackete che ha sottolineato come: «Lo stato tedesco abbia lasciato che Maja venga processata in Ungheria» mentre altri cittadini tedeschi nella stessa situazione saranno giudicati in patria. «Ormai sappiamo - ha dichiarato Rackete - che in Ungheria non esiste più uno stato di diritto e non c’è processo equo per nessuno. Ma ora che Maja è qui, lo stato tedesco non sta facendo alcun tentativo per riportarla in Germania, dove avrebbe la possibilità di ottenere un processo equo secondo gli standard internazionali in materia di diritti umani. Ed è proprio questo che vogliamo».
Presente in aula anche una delegazione di Sinistra Italiana - The Left presso l’Europarlamento che in una nota sottolinea che «come nel caso di Ilaria Salis non esistono infatti le garanzie minime per un processo equo nei confronti degli attivisti di sinistra, che rischiano pene detentive abnormi».
La vicenda
Accusat* di aver partecipato ad azioni violente contro militanti dell’estrema destra ungherese durante il "Giorno dell'onore" a Budapest nel febbraio 2023, Maja è stat* estradat* in Ungheria dalla Germania nel giugno 2024, nonostante una sospensiva emessa dalla Corte costituzionale tedesca. L'estradizione, avvenuta in circostanze controverse, ha visto Maja trasferit* con modalità che hanno destato preoccupazione e indignazione: incatenat*, con un cappuccio sulla testa e senza possibilità di comunicare con i suoi legali. Una volta in Ungheria, è stat* trasmessa in carcere e post* in isolamento in condizioni descritte come degradanti.
La corte Costituzionale tedesca si è subito attivata dichiarando incostituzionale l’estradizione ed evidenziando che le condizioni carcerarie in Ungheria potrebbero violare l'articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell'Ue, che proibisce trattamenti inumani o degradanti. Una pronuncia che non ha fatto altro che lasciare l’amaro in bocca essendo arrivata quando ormai Maja era già a Budapest dove ora rischia una condanna fino a 24 anni di carcere.
La vicenda solleva questioni cruciali sul rispetto dei diritti umani, sulle procedure di estradizione tra Stati membri dell’Ue ma anche e soprattutto sulla sempre maggiore repressione dei diritti nell’Ungheria di Orbàn. Il processo a una persona non binaria, infatti, accende un faro sul contesto ungherese dove il governo ha approvato una serie di misure per limitare la possibilità di espressione del movimento Lgbtq+ vietando i Pride e autorizzando l'uso di tecnologie di sorveglianza per identificare chi manifesta per i propri diritti.
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