Il distretto di Pudong e l’area a est dello Huangpu, in lockdown da lunedì scorso, vi rimarranno fino al 1° aprile; l’altra metà della megalopoli, a ovest del fiume, sarà chiusa dal 1° al 5 aprile. A milioni di residenti verrà effettuato il tampone. Alla fine anche Shanghai ha dovuto, per la prima volta dall’inizio della pandemia, sperimentare il lockdown.

Martedì 29 marzo dall’aeroporto di Pudong sono transitati una trentina di voli contro i circa 900 di un giorno normale; il porto commerciale di Yangshan (il più trafficato del mondo con i suoi 22,8 milioni di container all’anno) opera a mezzo servizio. Come racconta questo articolo, le compagnie del distretto finanziario di Lujiazui hanno invitato i dipendenti a restare in ufficio h24, per evitare di contagiarsi.

Dall’inizio di marzo a Shanghai sono stati registrati 26mila casi di positività, più che nei due anni precedenti. Mentre i numeri continuano a salire (al 31 marzo 5.298 asintomatici e 355 ammalati), per non congestionare gli ospedali sono state convertite in centro di quarantena strutture pubbliche come la sede dell’Expo.

Customers look through empty shelves at a supermarket in Shanghai, China, Wednesday, March 30, 2022. As millions of Shanghai residents line up for coronavirus tests in the closed-down metropolis, authorities are promising tax cuts for shopkeepers and to keep its busy port functioning to limit disruptions to industry and trade. (AP Photo/Chen Si)
  • Perché è importante

L’annuncio – a poche ore dall’entrata in vigore – del lockdown di Shanghai ha costretto le autorità cittadine a sconfessare le chiusure selettive, “a macchia di leopardo” delle scorse settimane, che erano state lodate come un modello di efficienza più “liberal”. Dopo quello nella metropoli di Shenzhen a metà marzo e quello di Shanghai, i lockdown verranno imposti anche nelle prossime metropoli dove omicron farà capolino. Chiusure che non mancheranno di avere ripercussioni negative sull’economia cinese, i cui dati relativi al primo trimestre sono attesi nei prossimi giorni.

  • Il contesto

Un editoriale dell’agenzia Xinhua ha difeso il lockdown di Shanghai e ha attribuito la decisione di continuare con la strategia “contagi zero” direttamente a Xi Jinping: «Dall’inizio alla fine, dobbiamo aderire al principio di mettere le persone al primo posto». La scelta di andare avanti con le chiusure parte dal presupposto che – a causa della scarsa efficacia dei vaccini cinesi e di percentuali alte di non vaccinati tra gli anziani – i costi da pagare sono inferiori ai danni che deriverebbero da una circolazione del virus più libera. Un peso determinante lo ha anche la scelta del partito d’intestarsi la guida della “guerra di popolo al coronavirus”, diventata un elemento essenziale dell’ideologia informale del Pcc, a pochi mesi dal suo XX congresso al quale Xi chiederà un terzo mandato a guidare la Cina.

Nell’autunno prossimo – quando si celebrerà il congresso – saranno passati ormai tre anni di chiusura della Cina al mondo esterno. Tre anni che hanno interrotto l’avvicinamento all’occidente iniziato con l’ingresso di Pechino (nel 2001) nell’Organizzazione mondiale del commercio, e che avranno per la Repubblica popolare cinese conseguenze profondissime: politiche (col rafforzamento di un potere più accentrato nella figura del leader del partito), economiche (con la spinta a una certa “autarchia”) e nei suoi rapporti con l’occidente, che saranno sempre meno stretti.   

Lavrov incontra Wang: uniti contro l’egemonismo, senza limiti

Il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, ha discusso il 30 marzo a Tunxi (nella provincia cinese dello Anhui) con il suo omologo cinese Wang Yi. L’incontro ha avuto luogo nell’ambito di un vertice per la pacificazione dell’Afghanistan (mediazione nella quale Pechino è estremamente attiva) che ha visto la partecipazione di leader talebani, russi, pachistani, iraniani e dei paesi centroasiatici confinanti con l’Afghanistan.

  • Perché è importante

Il faccia a faccia tra Lavrov e Wang ha fornito un’ulteriore occasione per chiarire la posizione sulla guerra in Ucraina di Pechino, che continuerà a bilanciare la sua “partnership strategica senza limiti” con Mosca con la difesa dei princìpi di “sovranità”, “integrità territoriale” e “non ingerenza”. Il portavoce del ministero degli Esteri, Wang Wenbin, ha puntualizzato che «non c’è alcun limite nella cooperazione Cina-Russia, non c’è alcun limite nella nostra ricerca della pace e nel mantenimento della sicurezza, e non c’è alcun limite alla nostra opposizione all’egemonismo».

  • Il contesto

Una partnership siffatta – con una cooperazione economico-commerciale e militare “senza limiti”, e basata sulla strategia comune di quella che Wang ha definito la «pratica di un autentico multilateralismo, la promozione di un mondo multipolare e della democrazia nelle relazioni internazionali» – equivale a un’alleanza di fatto. Dunque non è ipotizzabile che Pechino prenda le distanze da Mosca che pure sta facendo strame in Ucraina dei princìpi basilari del diritto internazionale.

La partnership tra Pechino e Mosca si basa su interessi e su una visione comune dei rapporti tra stati, espressa nel documento sottoscritto a Pechino dai due presidenti, Xi Jinping e Vladimir Putin, il 4 febbraio scorso. È questo il messaggio mandato a quanti – soprattutto in Europa – sperano che Pechino possa svolgere un ruolo di mediazione, contribuendo a fermare Putin in un conflitto che la leadership cinese (alle prese con gravi problemi interni) giudica una questione tra russi, ucraini, europei e statunitensi. Pechino continuerà a promuovere la sua “neutralità” e la sua contrarietà alle sanzioni come strumenti per raffreddare la tensione tra i belligeranti.  

Fuga di capitali, Pechino prepara un bazooka anti-crisi

La sua “partnership strategica” con la Russia e le crescenti tensioni con gli Stati Uniti stanno allontanando gli investitori internazionali dalla Cina? È quanto suggeriscono i dati delle ultime settimane, che hanno registrato un esodo di capitali dalla Repubblica popolare cinese. Un report pubblicato dallo Institute of International Finance (Iif) ha definito la fuga di capitali stranieri da azioni e bond cinesi «senza precedenti, specialmente perché non abbiamo osservato una simile fuga dagli altri mercati emergenti».

  • Perché è importante

Secondo il China central depository & clearing, le disponibilità di obbligazioni cinesi onshore degli investitori esteri sono diminuite di 67 miliardi di yuan (10,5 miliardi di dollari Usa) nel mese di febbraio. Macquaire Capital, nei primi ventuno giorni di marzo ha stimato deflussi netti dalla Cina per 59 miliardi di yuan attraverso lo Stock connect con Hong Kong. Anche l’aumento dei tassi da parte della Federal Reserve ha contribuito alla fuga dei capitali dai mercati cinesi, che – secondo dati elaborati da South China Morning Post – nelle quattro settimane dall’inizio della guerra in Ucraina ammonta a 15,7 miliardi di dollari, più del valore delle azioni cedute in tutto il 2021 dagli investitori stranieri.

  • Il contesto

Il continuo rallentamento dell’economia cinese, i lockdown e le tensioni geopolitiche stanno dando vita a un’atmosfera sempre più pessimistica. In questo quadro la leadership cinese ha annunciato che, entro il mese di settembre, verrà istituito un fondo di garanzia per la stabilità finanziaria, al quale sta lavorando la Banca centrale (Pboc), assieme alla Commissione nazionale per lo sviluppo e le riforme (Ndrc), ai ministeri delle Finanze e della Giustizia e all’autorità bancaria e assicurativa della Cina. Quest’ultima con un comunicato ha spiegato che il settore finanziario è messo alla prova dall’aumento dei fattori “di instabilità e incertezza”, sia in patria che all’estero, e che il paese deve preparare le risorse e gli strumenti politici per mitigare i rischi.

Consigli di lettura della settimana:

Per questa settimana è tutto. Per osservazioni, critiche e suggerimenti potete scrivermi a: exdir@cscc.it

Weilai vi invita a seguire il futuro della Cina su Domani, e vi dà appuntamento a giovedì prossimo.

A presto!

Michelangelo Cocco @classcharacters

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