Sembrava impossibile protestare, in piena emergenza anti Covid-19, contro le ulteriori restrizioni al diritto di aborto in Polonia. E invece le proteste continuano, ogni giorno, e la partecipazione non fa che aumentare. In più, sul fronte europeo, dall’Europarlamento sta prendendo forma la richiesta di avviare una procedura di infrazione contro la Polonia.

Il blocco delle città

L’appuntamento è alle quattro di pomeriggio «per bloccare le città polacche». Come? «Con le auto in mezzo alla strada, suonando i clacson, occupando le corsie delle strade con le nostre biciclette, e ovviamente: con i nostri corpi».

Lana Dadu e Magdalena Dropek, attiviste di Cracovia, danno conto dell’ultima, maestosa iniziativa in programma per protestare contro la sentenza della Corte costituzionale polacca – in un paese in cui la commistione tra potere giudiziario ed esecutivo è fortissima – che ha bandito pure l’aborto in caso di gravi malformazioni del feto.

Da quando è arrivata la sentenza, giovedì, frotte di ragazzine di nemmeno vent’anni, assieme a ragazzi, uomini, signore più attempate, quarantenni, insomma migliaia di donne e di uomini polacchi presidiano le grandi città in segno di protesta. Si ritrovano ogni giorno, e ogni giorno la protesta si ingrossa.

Non è facile manifestare il dissenso: la mossa della Corte arriva in piena emergenza Covid-19, da questo sabato tutto il paese è “zona rossa” e non ci si può incontrare in più di cinque.

(Due ragazzi a Varsavia protestano contro la sentenza della Corte muniti di dispositivi di protezione anti Covid-19. Foto LaPresse)

Il divieto di aborto

La sentenza arriva dove non erano riuscite ad arrivare, da sole, né la politica né la Chiesa: dai primi anni Novanta il diritto di abortire per le donne era già limitatissimo, consentito solo nei casi di violenza sessuale, incesto, gravi anomalie del feto o se la vita della madre è in pericolo.

Quattro anni fa, la destra ha provato a cancellare pure queste eccezioni; con il supporto attivo delle organizzazioni pro life e la compiacenza della Chiesa polacca, la proposta di legge è arrivata in parlamento.

Ma le donne polacche (e non solo loro) sono scese in strada, in quell’ottobre 2016, in ogni città e nella capitale in massa, vestite a lutto, a migliaia. Una marea nera. Era la “Czarny protest”.

Chiesa, politica e pro life

Da allora l’episcopato polacco ha fatto pressioni e ha accusato apertamente sia il partito di governo, Diritto e giustizia (Pis), che la Corte suprema, di aver «fallito» perché la promessa elettorale di «proteggere la vita sin dal concepimento» non era stata messa a segno.

Le organizzazioni pro life come Ordo Iuris, già ispiratrice della proposta di legge del 2016, hanno insistito per irrigidire ancor di più il divieto di aborto. La scorsa settimana, la Corte ha messo a segno ciò che non aveva fatto la politica, in una “trappola perfetta”: anche protestare sembrava impossibile, con le disposizioni anti Covid-19.

(Varsavia, 25 ottobre. Una donna protesta contro il divieto di aborto davanti a una chiesa della capitale. Foto LaPresse)

Proteste in strade e chiese

Ma le proteste non si sono mai fermate. Da quel giorno, ogni pomeriggio, a migliaia si riversano nella capitale, sotto casa dell’influente leader del Pis (e vicepremier) Jaroslaw Kaczynski. Il dissenso è diretto non solo verso la maggioranza di governo, ultracattolica e di destra, ma pure verso la Chiesa polacca stessa. Domenica le ragazze e le signore sono andate a protestare anche sotto le chiese, incontrando la resistenza congiunta sia della polizia che degli estremisti di destra. 

A impedire l’ingresso alla basilica di Varsavia c’erano infatti anche i neofascisti capeggiati da Robert Bakiewicz. Ancora proteste, sempre con le mascherine, ma senza mai fermarsi, nel weekend, a Katowice, davanti all’arcicattedrale di Cristo re, e a Poznan, davanti alla Basilica di San Pietro e Paolo. E manifestazioni, partecipate, pure a Cracovia.

(Membri di organizzazione neofascista e poliziotti portano via una ragazza che protesta davanti a una chiesa di Varsavia, domenica 25 ottobre. Foto LaPresse)

Polonia con Arabia Saudita

Intanto lo scontro prosegue anche a livello internazionale. Da una parte il governo polacco ha appena sottoscritto una “dichiarazione sulla salute della donna” che rinnega il diritto all’aborto, affermando che ogni nazione deve poter decidere sul tema.

Il documento, chiamato “Dichiarazione di Ginevra per la salute della donna e il rafforzamento della famiglia”, è firmato in ambito europeo soltanto da Polonia e Ungheria, che si uniscono sul tema all’Arabia Saudita, agli Stati Uniti di Donald Trump che hanno guidato l’iniziativa, e a un’altra ventina di paesi.

Procedura di infrazione

La sinistra polacca, minoritaria in parlamento ma apertamente schierata per i diritti delle donne, prova a frenare la deriva antiabortista nel consesso europeo, in un contesto già teso: la Polonia è già al centro del dibattito sul rispetto dello stato di diritto (che si intreccia con il negoziato su bilancio e fondi di ristoro europei) anche per la mancata indipendenza del potere giudiziario da quello esecutivo (di cui si vede un riflesso nel verdetto antiaborto).

Perciò l’europarlamentare Robert Biedron di Primavera (la sinistra polacca) assieme al suo gruppo, i Socialdemocratici europei, sta portando avanti una proposta di risoluzione: la richiesta alla Commissione europea è di avviare una procedura di infrazione contro la Polonia. L’iter è appena cominciato, l’obiettivo è che la risoluzione venga votata alla prossima plenaria dell’Europarlamento. Nel frattempo, il femminismo polacco continua a scendere in piazza.  

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