In una piccola cittadina della Germania, si sta scrivendo un piccolo pezzo di storia del conflitto civile siriano. L’Alta corte regionale di Coblenza ha condannato all’ergastolo Anwar Raslan, ex colonnello dell’apparato poliziesco del presidente siriano Bashar al Assad.

Raslan è accusato di crimini contro l’umanità. Sarebbe stato il mandante e supervisore di torture, omicidi e diversi altri gravi reati avvenuti nella sezione 251, la prigione di nome al Khatib che si trova vicino Damasco. Lì, secondo i giudici tedeschi, tra l’aprile del 2011 e il settembre del 2012 sono state uccise almeno 58 persone e torturate altre 4mila.

Si tratta di un processo storico. Raslan è il più alto funzionario siriano a essere ritenuto responsabile degli abusi commessi dal governo di Assad nei primi anni della guerra civile scoppiata oramai undici anni fa nel 2011.

La stessa Corte ha già emesso una condanna nel febbraio a quattro anni e mezzo di carcere nei confronti di Eyad al Gharib, sottoposto di Raslan, che secondo i giudici, ha trasferito alcuni prigionieri del regime nei centri di interrogatorio dove venivano torturati per aver partecipato alle manifestazioni di piazza contro il governo.

I testimoni

AP Photo/Martin Meissner

«È una giornata felice» dice Anwar al Bunni a Domani. È un avvocato e attivista siriano che conosce bene quei centri di detenzione dove ha trascorso cinque anni della sua vita. È restio nel raccontare cosa è successo e cosa ha visto, ma afferma che per ben due volte hanno provato ad ucciderlo.

Le urla di chi è stato sottoposto a torture risuonano ancora nella sua testa. Erano tutti terrorizzati dalla “german chair”, racconta, una sedia che veniva usata per piegare all’indietro il corpo della vittima fino a schiacciarli le vertebre. In termini di crudeltà e violenza l’apparato repressivo siriano messo in piedi dalla famiglia Assad non ha rivali. Tra i torturati c’è chi è convinto che sia stato messo in piedi anche grazie all’aiuto di ex gerarchi nazisti che hanno trovato rifugio nel paese quando era governato da Hafez. Tra questi rientra sicuramente Alois Brunner, morto a Damasco nel 2010 dove insegnava agli agenti siriani le tecniche di tortura usate dalle SS naziste.

«Questa condanna è una vittoria per la giustizia e per le vittime siriane. Anwar Raslan non è un semplice delinquente o assassino, i giudici oggi condannano un intero apparato repressivo: mandanti, finanziatori e stampa di regime che hanno coperto questi crimini per anni», dice Anwar al Bunni.

Per uno scherzo del destino ha lo stesso nome del suo torturatore, che ha incontrato in Germania nel 2014. Quando ha visto che entrambi erano rifugiati politici in terra tedesca non voleva crederci. Alla rabbia è subentrato il senso di giustizia. Insieme a diverse ong e avvocati Anwar ha iniziato a raccogliere il materiale necessario per farlo incriminare.

Sono stati loro a fornire ai procuratori tedeschi parte dei faldoni che contengono migliaia di documenti e cd: prove scritte, video e audio degli orrori che occorrevano nel carcere in cui lavorava il colonnello condannato all’ergastolo.

Dopo due anni ha ottenuto il verdetto sperato: «È una condanna che ci da una speranza. I criminali come lui non possono sedere al tavolo delle trattative per determinare il futuro politico della Siria».

Il principio di giurisdizione universale

Thomas Lohnes/Pool Photo via AP

Il processo è avvenuto grazie al principio di giurisdizione universale presente all’interno del diritto internazionale e che permette di perseguire reati gravi (come i crimini contro l’umanità, crimini contro la guerra, genocidio e aggressione) commessi da individui in qualunque posto. Ma non tutti i sistemi giuridici nazionali ne sono dotati, in Europa si contano sulle dita di una mano.

La Germania è tra questi per via di una scelta politica precisa. La pesante eredità dell’orrore dell’olocausto e l’esperienza dei processi di Norimberga contro i gerarchi nazisti, hanno spinto il legislatore ad adeguare il suo ordinamento giuridico allo statuto della Corte penale internazionale. Una decisione volontaria, che non è vincolante dal trattato.

In Italia, infatti, questo non è avvenuto nonostante a Roma si sia tenuta la conferenza che ha portato nel 1998 alla firma del documento con il quale è stata istituita la Corte penale internazionale che a sede all’Aia.

Tra i primi stati che hanno provato a perseguire ex dittatori per questo tipo di reati c’è stata la Spagna che nel 1998 fece arrestare a Londra l’ex presidente cileno Augusto Pinochet, su richiesta dei famigliari delle vittime della repressione. Nel 2001 in Belgio un tribunale ha condannato quattro cittadini ruandesi accusati di crimini di guerra contro la minoranza dei Tutsi, durante il genocidio del 1994.

A Roma nel luglio del 2021 è arrivata la prima condanna definitiva del processo Condor contro i crimini commessi dalle dittature sudamericane a ex ufficiali degli apparati militari. In questo caso l’Italia ha potuto procedere grazie a un cavillo giuridico: parte delle vittime erano italiane.

Benché il caso della Germania sia esemplare, il suo ordinamento ha un limite ben preciso: oltre ad aprire un processo è necessario che l’imputato venga portato fisicamente in aula. In questo caso, Raslan si è “fregato” con le sue stesse mani. Nel 2014 si è recato di sua spontanea volontà in Germania dove ha chiesto la protezione internazionale e ha vissuto come rifugiato fino al 2019, anno in cui è stato arrestato dalle autorità tedesche dopo la segnalazione di diversi avvocati e attivisti per i diritti umani di origine siriana, tra cui c’è anche Anwar al Bunni.

Che ne sarà di Assad?

Sputnik

Gli avvocati siriani ora si chiedono se può iniziare un processo anche contro Bashar al Assad, rimasto saldamente al potere grazie al sostegno politico e militare di Vladimir Putin. Ma rimane una via complicata visto che il presidente siriano lascia il paese di rado e quando viaggia si dirige verso posti sicuri come appunto la Russia, dove è consapevole che non sarà arrestato.

Le vie internazionali sembrano le uniche percorribili ma anche qui non è semplice. La Siria non ha firmato e ratificato il trattato di Roma che istituisce la Corte penale internazionale e non può quindi essere perseguito dai procuratori dell’Aja. Tuttavia, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite può attivare la Corte Penale Internazionale sulle violazioni commesse da qualsiasi Stato, indipendentemente se sia parte o meno dello statuto. Ma Russia e Cina hanno posto il veto salvatore per Assad.

La speranza, ora, è che il processo in Germania possa spingere altri stati a compiere un percorso simile chiamando alle proprie responsabilità altri ex agenti dei servizi segreti di Damasco che si sono rifugiati in Europa.

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