Se si pensa alla Siria inevitabilmente vengono alla mente immagini di distruzione e macerie che accompagnano l’esodo di milioni di persone. I numeri del conflitto sono drammatici: circa 385mila i morti (di cui decine di migliaia di minori); 5,5 milioni i profughi che hanno lasciato il paese, mentre più di sei milioni gli sfollati interni.

Comprendere e spiegare la guerra siriana è molto complicato, è un conflitto dettato da varie stratificazioni, sfumature, obiettivi geopolitici diversi e altri di matrice religiose. Per non parlare dell’intervento esterno di attori internazionali e locali.

L’Onu ha stimato che la guerra in Siria abbia causato danni economici fino a circa 400 miliardi di dollari. Secondo Save the Children, due milioni di bambini sono tagliati fuori dalla scuola e l’80 per cento della popolazione vive sotto la soglia di povertà con 6,2 milioni di bambini che rischiano di restare senza cibo.

La primavera araba

Tutto è iniziato con le manifestazioni dei primi mesi del 2011 che, come quelle del Maghreb, chiedevano nuove riforme, occupazione e la fine di un governo ultra decennale (la famiglia Assad governa la Siria dal 1971). Da Tunisi e il Cairo le proteste hanno quindi invaso le vie di Aleppo, Damasco e Deraa fino a degenerare in una guerra di posizione logorante.

Per placare le proteste, il presidente Bashar al Assad ha promesso nuove riforme, un rimpasto di governo e una nuova costituzione che limitasse i suoi poteri presidenziali. Oltre alle promesse, però, sono arrivate anche le bombe.

L’inizio del conflitto

Epicentro delle proteste siriane è stata la città di Deraa nel sud del paese vicino la Giordania. Le manifestazioni sono state immediatamente represse con violenza dalle forze militari governative portando anche alle prime vittime.

I morti non hanno fatto altro che alimentare la rabbia dei siriani portando a episodi di guerriglia. Ed è proprio Deraa una delle città in cui per la prima volta viene schierato l’esercito per sedare le proteste. In quei giorni la violenza del regime è inaudita e il dissenso dilaga in altre città.

Deraa, Homs, Idlib. Il numero dei siriani uccisi sale vertiginosamente, a maggio del 2011 si contano già mille morti e migliaia di attivisti arrestati. Negli scontri con l’esercito iniziano a intervenire anche i primi gruppi islamisti, a partire dalla fratellanza mussulmana, messa al bando dal governo siriano ma forte dell’appoggio della confinante Turchia del sultano Erdogan.

Inizia la lotta armata, i ribelli ingaggiano scontri a fuoco contro i poliziotti e il regime schiera i carrarmati nelle strade di alcune città.

La mattanza dei civili provoca sdegno anche dentro gli apparati militari. Alcuni ufficiali disertori danno vita all’Esercito Siriano Libero (Esl) e le manifestazioni diventano sempre più violente.

La situazione si trascina così fino a fine ottobre quando l’Esl ottiene la sua prima vittoria a Homs contro le forze armate siriane uccidendo 37 soldati. Si è giunti al punto di non ritorno.

2012: Tutti dentro

Il nuovo anno si apre con l’approvazione della nuova costituzione siriana, avvenuta nel febbraio del 2012, ma i ribelli “chiedono la testa” di Assad e nuove elezioni politiche.

Le difficoltà del governo centrale fomentano la nascita di nuovi gruppi armati, ognuno vuole approfittare della situazione per ottenere un vantaggio personale.

Si formano gruppi di chiara ispirazione fondamentalista, il più rilevante è il Fronte al Nusra che nasce proprio nel 2012 e ingaggia un tipo di lotta armata che fa leva sugli attentati terroristici. La guerriglia continua in ampie parti del paese e a un anno di distanza si contano già 10mila morti tra le parti in conflitto (forze governative, Esl e islamisti).

Dopo varie stragi e mattanze di civili, anche le potenze mondiali decidono di intervenire nel conflitto, non lo fanno ancora in maniera diretta ma si delineano vari schieramenti diversi: uno che vuole la caduta di Assad e l’altro che lo sostiene.

La prima a intervenire è la Turchia, che inizia a sostenere con armi e munizioni i ribelli dell’Esl, fornendo anche protezione ai suoi ufficiali disertori.

Tra le forze occidentali, invece, Stati Uniti e Regno Unito supportano anche loro i ribelli, mentre i paesi del golfo arabo decidono di finanziare alcuni gruppi di ispirazione islamista.

A favore di Assad, invece, si schierano la Russia e l’Iran che non hanno intenzione di perdere il loro prezioso alleato. La nascita dei vari schieramenti internazionali ha protratto la guerra fino ai giorni nostri.

Nelle prime fasi del conflitto, i ribelli dell’Esl hanno combattuto con l’appoggio dei gruppi fondamentalisti, facendo fronte comune contro Assad, ma in poco tempo si è arrivato anche a uno scontro interno tra di loro visti i diversi obiettivi finali.

Presto si inseriscono nel conflitto anche le Unità di protezione popolare curde (Ypg) che visto il caos generale decidono di concentrarsi nel Kurdistan siriano, nel nord-est della Siria e in poche settimane riescono a ottenere il controllo di importanti città, tra cui Efrin. In poco tempo i curdi danno vita all’Amministrazione autonoma della Siria del Nord-Est, nel Rojava.

2013: avanzata islamista, ingerenze estere

Nel marzo del 2013 a due anni dall’inizio del conflitto, il Fronte al Nusra ottiene risultati decisivi. Piccole città, stazioni militari, ponti e centrali energetiche vanno a finire sotto il controllo degli islamisti.

Tuttavia, la conquista decisiva è la città di Raqqa che fino a questa fase del conflitto ha mantenuto una posizione neutrale e con pochi atti di guerriglia. Gli islamisti ottengono così buona parte del controllo del centro-nord e inizia un processo di radicalizzazione che sarà decisivo negli anni successivi.

Qatar e Arabia Saudita pompano soldi e armi tra le file delle milizie islamiste. L’Iran, invece, teme che la caduta di Assad possa mettere fine all’ ”Asse della Resistenza", un’alleanza tra Iran, Siria, Hamas, Hezbollah e gli Houthi dello Yemen.

Un’asse che si contrappone all’Islam sunnita dominante e in ottica antisraeliana. Durante le prime proteste del 2011 l’Iran ha fornito supporto alle forze armate siriane in termini di rifornimenti e finanziamento ma con l’avanzamento della guerra Teheran ha fornito armamenti, intelligence e anche addestratori militari. L’appoggio dei libanesi Hezbollah ad Assad, sarà decisivo, ad esempio, nella battaglia di al Qusayr contro al Nusra.

AP Photo/Vadim Ghirda

Nella primavera del 2013 si apre il terzo fronte. Il leader dello Stato Islamico dell'Iraq (Isi) Abu Bakr al Baghdadi vede nella guerra in Siria un’opportunità per espandere la jihad e rifondare il califfato. Decide così di intervenire non soltanto contro le forze governative ma anche contro i ribelli “infedeli” dell’Esl.

L’ascesa dei fondamentalisti islamici porta a un’escalation anche nelle zone sotto il controllo dei curdi. Si vedono i primi episodi di guerra settaria, brutale, che porta ad azioni di “pulizia etnica” nei confronti di alcune minoranze religiose siriane. Tra gli episodi più gravi l’attacco nel governatorato di Latakia, dove vennero uccisi tra i 67 e i 140 alawiti (minoranza siriana di cui fa parte la famiglia Assad).

Si registrano anche i primi attacchi chimici con il cloro e il gas sarin che porteranno la comunità internazionale a intervenire nei mesi successivi. Tra gli attacchi più devastanti c’è quello di Ghouta avvenuto il 21 agosto che ha provocato la morte di almeno 281 persone.

Le indagini dell’Onu hanno accertato l’uso di armi chimiche, tuttavia non hanno affermato chi le avrebbe usate, e il governo siriano e i ribelli si accusano a vicenda.

Per cercare di evitare attacchi simili, il 26 settembre è stato raggiunto l’accordo all’interno del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite dell’eliminazione del programma chimico siriano. Mentre un’inchiesta dell’Onu ha provato a far luce su sedici presunti attacchi chimici avvenuti in Siria in quei mesi, dando vita a un report dettagliato scaricabile qui.

2014: la proclamazione del Califfato

Gennaio 2014 si apre con la tanto attesa conferenza di pace di Ginevra indetta dall’Onu con la mediazione di Russia e Stati Uniti. Alla conferenza partecipano il governo siriano, la Coalizione Nazionale Siriana (l’organo politico che raggruppa i ribelli siriani, tra cui anche le frange armate) e il fronte curdo. L’unico risultato raggiunto è stata una tregua che ha permesso di evacuare i civili in alcune zone più delicate del conflitto. Nel frattempo, il 3 giugno si svolgono in Siria le elezioni presidenziali ma i seggi elettorali sono presenti solo nelle aree controllate dal governo. Bashar al-Assad viene dichiarato vincitore con l’88,7 per cento dei voti a favore.

L’avanzata dell’Isis in Iraq ha una conseguenza diretta nel conflitto siriano. Dopo la conquista di Mosul e il rafforzamento dei miliziani con armi, denaro e nuovi combattenti, il 29 giugno il leader dell’Isis, Abu Bakr al Baghdadi annuncia l’instaurazione del califfato nei territori controllati tra Siria e Iraq.

L’offensiva jihadista più importante di quelle settimane avviene nel governatorato siriano di Deir Ezzor. In totale circa 200mila persone sono in fuga per paura di un massacro religioso.

AP Photo/Khalil Hamra

Il pericolo del califfato spinge la comunità internazionale a intervenire con attacchi sia in Iraq sia in Siria, per mano di una coalizione guidata dagli Usa e composta da Bahrein, Giordania, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.

A metà settembre l’Isis scatena un’imponente offensiva nella regione curda di Kobane e circa 300mila profughi si dirigono verso la Turchia.

2015: Esodo migranti

Il 2015 è ricordato come l’anno in cui la Russia di Vladimir Putin assume un ruolo sempre più decisivo nel conflitto e interviene con bombardamenti sia contro i jihadisti (soprattutto nella capitale del califfato a Raqqa) sia contro i ribelli, a dimostrazione del suo appoggio nei confronti del presidente siriano.

Le atrocità dell’Isis e l’intensificazione del conflitto portano all’esodo di migranti che si affacciano ai confini europei. Secondo Unhcr, solo nel 2015 più di 366mila rifugiati sono arrivati in Europa via mare, la maggior parte proveniente dalla Siria. In questo momento l’Europa decide di trattare con il presidente siriano, ma anche con la Turchia affinché trattenga i migranti nel paese.

Oltre all’intervento russo è decisivo anche quello delle Forze Quds del corpo delle Guardie della rivoluzione islamica iraniana, guidate dal generale Qasem Soleimani, ucciso nel gennaio 2020 in un raid statunitense.

Il 21 ottobre Assad compie il suo primo viaggio all’estero dall’inizio del conflitto e va alla corte di Putin nel Cremlino. Un gesto che mira a riabilitare la sua figura politica in vista della conferenza di pace organizzata a Vienna il 30 ottobre.

Circa un mese dopo, due F-16 turchi abbattono un bombardiere russo causando la morte di un pilota e dando vita a una grave crisi diplomatica tra i due paesi, che appoggiano due parti opposte del conflitto.

2016: Aleppo ritorna ad Assad

L’11 febbraio viene rilanciato l’ennesimo colloquio di pace a Monaco di Baviera che porterà a un cessate il fuoco e a nuovi aiuti umanitari nel paese.

Il 14 marzo, Putin annuncia il progressivo ritiro delle forze russe dal territorio siriano ma garantisce un sostegno nella lotta contro l’Isis che sono sotto attacco dalle milizie curde a Raqqa e nella provincia di Aleppo.

Dopo quattro anni e mezzo circa, le forze governative siriane ottengono la piena riconquista di Aleppo.

AP Photo/Hassan Ammar

2017: l’inizio della ritirata dell’Isis

Tra fine 2016 e inizio 2017 l’Isis subisce delle “sonore” sconfitte. Viene riconquistata l’antica città di Palmira, saccheggiata dai miliziani nel 2013 che ne hanno distrutto parte del suo valore storico e archeologico. Le Forze democratiche siriane, guidate dai curdi e da milizie arabe e assire riconquistano Raqqa, mentre l’esercito siriano si impossessa di Deir Ezzor, costringendo i jihadisti a una ritirata.

Per la prima volta, invece, l’organizzazione per proibizione delle armi chimiche (Opac) dichiara che il governo siriano abbia usato armi chimiche nel marzo del 2017 sul villaggio di al Laraminah nell’ovest del paese, nonostante l’accordo che ne vietava l’uso siglato nel 2013.

2018: Il piano Erdogan contro i curdi

Il nuovo anno si apre con l’operazione turca “Ramoscello d’ulivo” un attacco contro le milizie curde presenti al nord della Siria vicine al confine turco. Tra le provincie più colpite c’è quella di Afrin. L’operazione avviene con il tacito assenso della Russia e degli Stati Uniti, mentre una forte mobilità internazionale si schiera con i curdi, da sempre un avamposto contro lo stato islamico di Al Baghdadi.

L'8 aprile i ribelli sostengono che l’esercito siriano abbia utilizzato nuovamente armi chimiche di gas al cloro a Douma. Le scene video diffuse hanno provato un grave sdegno internazionale. Tanto che dopo pochi giorni, Stati Uniti, Francia e Regno Unito lanciano un attacco missilistico con obiettivo i siti di produzione di armi chimiche del governo siriano. Sul presunto attacco chimico Wikileaks ha pubblicato una serie di documenti e corrispondenze scambiati tra i membri dell'Opac che hanno partecipato all’indagine, che sollevano vari dubbi sull’attacco.

Tra maggio e giugno c’è una nuova offensiva internazionale contro l’Isis, soprattutto nelle regioni orientali del paese, guidata dagli Stati Uniti con l’appoggio delle Forze democratiche siriane e quelle irachene. Nel frattempo, dopo oltre sei anni, la provincia di Damasco ritorna sotto il controllo governativo.

Il 27 ottobre a Istanbul avviene un summit tra i leader di Turchia, Russia, Germania e Francia in cui si stabilisce un appoggio all’integrità territoriale siriana oltre un nuovo processo guidato dall’Onu per l'emanazione di una nuova costituzione in Siria e il progressivo ritorno in patria dei profughi.

2019. la morte di Al Baghdadi:

Il 2019 sarà ricordato come l’anno in cui la comunità internazionale e in particolare gli Stati Uniti hanno voltato le spalle alle forze militari curde, lasciando strada spianata a Rece Tayyip Erdogan nella sua vasta operazione militare nel Rojava. Erdogan ha dichiarato di voler creare una “zona cuscinetto” nel confine per evitare che eventuali unità del Pkk (considerati terroristi dalla Turchia) possano entrare nel paese. L’obiettivo della Turchia è invece di continuare a reprimere la resistenza curda al confine. 

Il 27 ottobre 2019 Donald Trump ha annunciato l’uccisione di Abu Bakr al Baghdadi in un raid avvenuto a Barisha nei pressi di Idlib. Un evento che sancisce quasi la fine del califfato.

2020: L’anno della pandemia

A fine dicembre le forze armate governative lanciano l’operazione offensiva nella Siria nord-occidentale, “Alba di Idlib 2”, che secondo Save The Children ha causato circa 850mila sfollati. A Idlib oggi si continua a combattere. Russia e Turchia un anno fa hanno firmato una tregua che è stata rispettata più volte, soprattutto per via della pandemia che inevitabilmente ha rallentato i ritmi della guerra.

Nel paese in totale sono stati registrati circa 16.400 contagi e poco più di mille morti. La situazione per i civili rimane estremamente instabile e il rischio di ulteriori escalation nei governatorati nordici è ancora alto. Le discussioni sulla nuova costituzione siriana per ora non sono andate a buon fine, con cinque incontri effettuati tra le parti sotto l’egida dell’Onu. Nel frattempo, in questo 2021 sono attese le prossime elezioni presidenziali.

Gli ultimi rapporti delle Nazioni unite, invece, contano ancora 10mila miliziani dell’Isis operativi e lanciano l’allarme sulla radicalizzazione dei loro figli reclusi attualmente nei campi situati nel nord-est della Siria, come quello di al Hol.

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