L’appuntamento italiano per la ricostruzione dell’Ucraina è rinviato al 2025. Nel palazzo dei Congressi di Roma, blindato agli accessi esterni e circondato da forze di polizia e militari, la presidente del Consiglio italiana, Giorgia Meloni, ha annunciato di voler ospitare in Italia una conferenza – ben più grande di quella che si è tenuta oggi – che servirà a ricostruire il paese aggredito da Mosca. 

Eppure, la conferenza a Roma era stata presentata da mesi come un evento di rilevanza nazionale vista la presenza dei ministri Urso, Tajani, Giorgetti e Salvini. Neanche lo slittamento da marzo ad aprile è riuscito a farla diventare un successo.

Se le autorità italiane erano adeguatamente rappresentate, nella capitale i grandi assenti sono stati i leader internazionali. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky non era presente e ha preferito inviare alcuni emissari, tra cui il ministro degli Esteri, Dmytro Kuleba, e il premier Denys Shmyhal. Zelensky è intervenuto solo con un breve video messaggio, in cui dopo aver ascoltato l’annuncio di Meloni ha detto con amarezza: «Spero che la ricostruzione sia prima del 2025». 

Dei leader di peso delle istituzioni europee, come la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen – presente invece alla conferenza internazionale di Parigi dello scorso dicembre –, non c’è stata traccia. Saltato all’ultimo minuto anche l’intervento del presidente di Confindustria, Carlo Bonomi.

Ancora una volta l’Italia si trova a inseguire gli altri paesi europei che invece sul dossier della ricostruzione si stanno muovendo in maniera più organizzata e agile, primi fra tutti Francia e Germania. Le prossime tappe, infatti, prevedono una conferenza internazionale nel Regno Unito per il prossimo giugno (già organizzata da mesi) un’altra nel 2024 in Germania. Nell’ultimo anno, oltre alla conferenza di Parigi – durante la quale sono state raccolte donazioni per oltre un miliardo di euro –, si sono tenuti eventi analoghi a Berlino e Varsavia, con la presenza di migliaia di aziende.

La quota italiana

Durante l’evento, al quale i giornalisti presenti non hanno potuto fare domande, sono stati annunciati una serie di Memorandum siglati in vari settori tra le autorità italiane e ucraine: dall’industria all’agricoltura, all’ambiente. «Una testimonianza della nostra collaborazione», ha detto il premier Denys Shmyhal. Nel settore agricolo l’Italia aiuterà Kiev nello sminamento dei campi agricoli e nel fornire macchinari per la semina e la raccolta. L’obiettivo è anche quello di evitare il più possibile una crisi alimentare nei paesi in via di sviluppo, che comporterebbe il rischio di far aumentare i flussi migratori.

Il governo guidato da Giorgia Meloni spera di ottenere un 10 per cento degli oltre 400 miliardi di investimenti previsti per ricostruire l’Ucraina. Tra i ministri che si stanno muovendo in questa direzione c’è Adolfo Urso, a capo del ministero delle imprese e del Made in Italy, che sta portando avanti due progetti: Horonda e Made in Ucraina.

Con il primo si vuole creare un corridoio infrastrutturale per facilitare il trasporto, grazie a un hub nel porto di Trieste, degli aiuti e dei materiali che poi arriveranno in Ucraina. Il secondo progetto, invece, ha l’obiettivo di creare un marchio, un brand basato sulla solidarietà globale a Kiev.

Su questo «è stato siglato un accordo», ha annunciato Urso alla conferenza, dopo aver firmato il memorandum con la vice prima ministra nonché ministra dell’economia Julija Svyrydenkog. «La creazione del brand e l’identificazione dei prodotti tipici ucraini con un marchio nazionale può contribuire al loro acquisto sia con motivazioni solidali, sia per identificarne meglio l’origine», si legge in un comunicato del ministero sul progetto.

Trasformare le esigenze in brand non è una pratica nuova per il presidente ucraino. «Sii coraggioso come l’Ucraina», era la scritta con la quale alcune agenzie pagate dal governo di Kiev avevano tappezzato alcune città italiane tra cui Roma e Milano.

Le imprese

Alla conferenza si sono iscritte 600 aziende italiane e 150 ucraine, alle quali Meloni ha detto chiaramente che «investire in Ucraina non è azzardato», anzi, è «una delle scelte più lungimiranti». Nel pomeriggio è stata diffusa la lista dei partecipanti più noti della conferenza: Pietro Salini, amministratore delegato della Webuild (che ha centinaia di cantieri aperti in tutto il mondo), Eni, Ansaldo energia, Italgas, Anas, Iveco, Monte dei Paschi, Generali, Unipol, Fincantieri, Leonardo, Telecom Italia e tante altre. Tra le aziende rappresentanti del settore della sanità ci sono: Angelini, l’Ospedale San Raffaele e il gruppo San Donato (presieduto dall’ex ministro Angelino Alfano). Sui tavoli organizzati per i bilaterali erano presenti anche diverse sigle di istituzioni e istituti internazionali come la Bei (Banca europea degli investimenti), l’Undp (il programma Onu per lo sviluppo), l’Ifc (International finance corporation) e la Fao.

Società come Sace e Mermec hanno ultimato in giornata una serie accordi: il gruppo Mermec, nello specifico, per la ricostruzione di alcune linee ferroviarie distrutte dalle bombe russe. Diverse, invece, le realtà ucraine presenti come la Farmak (settore farmaceutico) e Astarta (azienda agricola). Tra tutte spiccano la Ukroboronprom – una società pubblica ucraina che riunisce diverse imprese operanti nel settore della difesa – e l’agenzia di stato spaziale rappresentata dal presidente Volodymyr Ben.

«La fase della ricostruzione comincia ora», ha detto il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, mentre in Ucraina cadono ancora le bombe e con una grande incognita dietro l’angolo sulle centinaia di miliardi di dollari che arriveranno a Kiev: il rischio corruzione.

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