Negli ultimi anni l’etica dei giudici della Corte suprema americana è stata osservata attentamente da parte dei commentatori progressisti per le numerose decisioni prese a favore di un uso sempre più fuori controllo delle megadonazioni ai candidati politici, a cominciare dalla sentenza Citizen United v. Fec del 2010, che rimuoveva ogni ostacolo all’impiego dei soldi in favore delle campagne elettorali da parte delle grandi aziende o dei singoli donatori.

Così, dopo il giudice Clarence Thomas, ora è toccato al giudice Samuel Alito essere l’oggetto di un’inchiesta del sito di giornalismo investigativo Propublica per certe sue amicizie. Che di per sé non vogliono nulla, ma si parla di viaggi lussuosi offerti da parte di miliardari molto vicini al partito repubblicano. Il caso è questo: nel lontano 2008 Alito venne ospitato a spese di Paul Singer, miliardario e presidente del società di gestione del risparmio Elliott Management, in Alaska durante una battuta di pesca in alto mare, offrendo anche un volo di andata e ritorno da Washington. Fin qui un caso molto simile a quello di Harlan Crow, miliardario che ha offerto diverse vacanze tropicali al collega di Alito Clarence Thomas e a sua moglie Ginni.

Stavolta però Alito ha anche un conflitto d’interessi successivo: nel 2014 votò la sentenza scritta da Antonin Scalia riguardante alcuni asset appartenenti al governo argentino presenti nel territorio che Nml Capital, una società con sede alle Cayman di proprietà di Singer voleva usare come parziale compensazione dopo il default di Buenos Aires nel 2001. La Corte, a larga maggioranza, diede ragione alla società di Singer, Alito compreso. Ecco quindi la presunta pistola fumante.

Il caso giornalistico

Alito però ha anticipato ProPublica, pubblicando un editoriale di autodifesa sul Wall Street Journal, sostenendo che ignorava completamente il collegamento tra Singer e NML Capital ai tempi della sentenza. E anche qualora fosse, non c’era nessun obbligo formale di ricusarsi, pertanto l’indagine di ProPublica sarebbe tendenziosa e ingannevole nei confronti dei lettori (va notato che i lettori a quel punto non potevano essere ancora stati ingannati da ProPublica: l’inchiesta non era ancora stata pubblicata). Soprattutto perché, così conclude il giudice, «quel volo non era riservato a me, ma ho usato un posto vuoto». In punta di diritto, Alito ha un’argomentazione valida. La pratica standard dei giudici non contempla di rivelare tutti i regali che ricevono a titolo personale. C’è però una questione di opportunità politica, secondo gli accusatori.

I viaggi di Alito e Thomas insieme ai loro amici danarosi contribuiscono in modo sostanziale alla crisi di credibilità della Corte suprema, visto come un organismo composto da giudici politicizzati. Assai improbabile però che questo porti a ulteriori conseguenze. Ci potrà essere un po’ di polverone mediatico, ma la responsabilità per il controllo etico degli alti magistrati, paradossalmente, ricadrebbe sulla Corte stessa. Appare assai remota invece l’ipotesi delle dimissioni a cui un pezzo di mondo progressista mirerebbe, per riequilibrare quella che è la robusta maggioranza conservatrice della Corte, che pure le sentenze di questi giorni rivelano essere tutt’altro che monolitica. Ad esempio, è stata respinto a larghissima maggioranza il ricorso di Texas e Louisiana nei confronti dell’amministrazione Biden per quanto riguarda le priorità nelle espulsioni dei migranti. Ironia della sorte, l’unico dissenso registrato è quello del giudice Alito.

Efficacia limitata

Non si può non notare però come l’accuratezza e la precisione delle inchieste di ProPublica, realizzate da team di giornalisti esperti e che indicano fonti di prim’ordine, includendo anche fotografie dei giudici in vacanza insieme ai loro amici miliardari, porti a conseguenze limitate in quello che è ormai uno degli obiettivi del mondo progressista, ovvero la riforma della Corte Suprema, in modo da limitare a un periodo di tempo limitato la permanenza dei giudici o un suo ampliamento. Le diverse opzioni sul tavolo prodotte dallla commissione istituita da Biden nel suo primo biennio in carica sono rimaste finora lettera morta. Non ci sono le condizioni per un accordo bipartisan.

Anzi, i commentatori conservatori sempre più si stringono a difesa di Thomas, Alito e degli altri alti magistrati contro quei progressisti che vorrebbero “rimuoverli” in modo surrettizio. Insomma, l’ennesimo polverone mediatico che non porta a nulla, se non a una crescente polarizzazione politica che, in ultima analisi, difende lo status quo e concede nel prossimo futuro a un presidente repubblicano di ampliare ulteriormente il campo conservatore nell’alta Corte.

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