Circa una settimana fa Eliav Elbaz, un comandante di alto grado dell’esercito israeliano, era stato cacciato a muso duro e ricoperto di insulti da un gruppetto di coloni scalmanati quando si era recato a fare le proprie condoglianze alla famiglia di una vittima del recente attacco terroristico di Eli, in Cisgiordania.

Il video aveva scioccato l’opinione pubblica israeliana: le grida «assassino» e «hai le mani sporche di sangue», lui che se ne andava con la coda tra le gambe senza reagire. Era colpevole, secondo i suoi giovanissimi aggressori, di aver dato ordine di provare a contenere le rappresaglie violente dei coloni nei villaggi palestinesi dopo l’attentato.

L’episodio, eccezionale per la sua crudezza nel contesto di una shivà, il lutto nella tradizione ebraica, può aiutare a spiegare l’incursione su larga scala intrapresa dall’esercito israeliano presso Jenin a partire da ieri mattina.

L’attacco contro il centro più attivo e sofisticato della militanza palestinese in West Bank ha già fatto almeno 10 vittime palestinesi, migliaia di sfollati dal campo profughi, e probabilmente provocato il gesto di un giovane palestinese che oggi si è scagliato con l’auto contro i passanti nella periferia nord di Tel Aviv, ferendo 7 civili e finendo per essere freddato da un passante armato.

Il governo del primo ministro Benjamin Netanyahu e i vertici delle forze armate sono infatti sottoposti alle pressioni delle frange oltranziste dei coloni come non era mai successo prima d’ora. I loro politici di riferimento, in primis il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir e quello delle Finanze Bezalel Smotrich, sono ben rappresentati nell’esecutivo e le loro formazioni politiche si configurano come una colonna portante della maggioranza.

Oltranzisti e coloni

Ben Gvir da tempo invoca un’operazione “Scudo di Difesa 2”. È un’allusione all’offensiva “Scudo di Difesa” che nella seconda intifada portò le truppe israeliane nel cuore di Ramallah fino a circondare il quartier generale dell’allora leader palestinese Yasser Arafat e costringendolo a rinchiudersi in un bunker sotterraneo (oggi è un bel museo).

Di recente Orit Malka Strook, un’altra ministra oltranzista che come lui risiede nell’insediamento israeliano di Hebron, è arrivata ad accusare i vertici delle agenzie di sicurezza israeliane di comportarsi alla stregua del gruppo paramilitare russo Wagner per aver osato condannare, in un comunicato, le spedizioni punitive dei coloni contro i palestinesi in West Bank.

I coloni avevano messo a ferro e fuoco, quasi indisturbati, il villaggio di Turmus Ayya e poi quello di Umm Safa, come avevano già fatto lo scorso 26 febbraio a Hawara. «Chi siete voi, il Gruppo Wagner? Chi siete voi per fare una simile dichiarazione sotto il naso del governo?», aveva detto Strook rivolgendosi, durante un intervento radiofonico, al capo dell’esercito, della polizia e dei servizi Shin Bet.

In quest’atmosfera, per ricompattare il governo ed evitare lo scollamento della sua compagine più estrema, e paradossalmente anche per contenere il fenomeno fuori controllo della violenza “in proprio” dei coloni in West Bank, il governo ha scelto di spingere l’esercito a compiere un’incursione dirompente a Jenin. E Netanyahu, che aveva fama di essere un premier restio a cominciare guerre rispetto alla media dei suoi predecessori, ha dovuto cedere a cause di forza maggiore.

Anche il salto di qualità nella scelta dei mezzi di offesa – il ritorno degli attacchi aerei in Cisgiordania per la prima volta dai sanguinosi primi anni Duemila, i bulldozer corazzati che livellano le strade di Jenin pur di bonificarle da eventuali ordigni esplosivi – si configurano come un’escalation funzionale a mantenere stretti i ranghi del governo. D’altronde “Tnu letzahal lenazeah”, “date a Tzahal la possibilità di vincere” (utilizzando tutti gli strumenti a propria disposizione ndr), è un vecchio slogan dei falchi di destra.

Mantenere coese le anime del governo è tanto più decisivo adesso che i sondaggi indicano in maniera univoca un forte calo di popolarità della maggioranza, che verrebbe sconfitta se si tornasse al voto. E ora che il tema incandescente della riforma del sistema giudiziario, incentrata su un programma di indebolimento della Corte suprema e considerata anti democratica da tanta parte dell’opinione pubblica e dalle opposizioni, sta tornando in agenda dopo una tregua annunciata in primavera.

Ieri, malgrado l’operazione in corso a Jenin, il movimento di protesta si è dato appuntamento presso l’aeroporto Ben Gurion per una manifestazione contro il pacchetto di misure sulla giustizia. Il blocco dei voli in uscita in seguito a uno sciopero presso lo scalo, unica vera porta di accesso al mondo per gli israeliani, era stato un fattore decisivo per convincere Netanyahu a fare un passo indietro e congelare la riforma lo scorso 27 marzo.

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