Il Tahi e il Palmyra erano gli unici due locali a Gaza City dove era ancora possibile trovare del cibo. Proprio per questo motivo quando l’esercito israeliano ha usato i suoi droni militari per colpire, l’area era piena di persone. Due esplosioni a distanza di cento metri l’una dall’altra hanno ucciso almeno 17 persone.

Vittime che si sommano alle oltre 31 persone morte in un altro attacco dello stato ebraico che ha preso di mira una scuola rifugio per sfollati. In totale, solo nella giornata di ieri sono state uccise almeno 92 persone, fanno sapere i media internazionali.

Una mattanza che aumenterà nei prossimi giorni se Israele non farà entrare gli aiuti umanitari e proseguirà con il piano annunciato da Benjamin Netanyahu. Il premier dell’Autorità nazionale palestinese, Mohammed Mustafa, ha esortato la comunità internazionale a porre fine al «crimine umanitario deliberato. Questa carestia non è un disastro naturale, è un crimine umanitario deliberato, e il silenzio è complice».

Ieri l’inviato Usa Steve Witkoff ha informato il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sul piano israelo-americano per riprendere gli aiuti umanitari a Gaza. Un progetto che bypasserebbe l’Onu e le sue agenzie come l’Unrwa. Intanto, secondo Reuters, Washington e Tel Aviv stanno discutendo di un piano futuro che prevede il controllo americano sulla Striscia fino a quando questa non fosse smilitarizzata.

Pressioni internazionali

Alcuni paesi Ue stanno esercitando pressioni nei confronti di Tel Aviv. Anche i ministri degli Esteri di Spagna, Islanda, Irlanda, Norvegia, Slovenia e Lussemburgo hanno respinto l’espansione delle operazioni militari israeliane. «Rifiutiamo qualsiasi cambiamento demografico o territoriale a Gaza, compreso qualsiasi piano che costringa o faciliti lo spostamento permanente della sua popolazione», si legge in una nota non firmata dall’Italia.

«Una nuova escalation militare a Gaza non farà che aggravare una situazione già catastrofica per la popolazione civile palestinese e metterà in pericolo la vita degli ostaggi ancora in ostaggio», hanno aggiunto. Inoltre il premier spagnolo Pedro Sánchez ha detto che presenterà all’Assemblea generale dell’Onu «un progetto di risoluzione» per adottare «misure urgenti» per «fermare i massacri di civili innocenti» e «garantire l’arrivo degli aiuti umanitari».

Anche il presidente francese Emmanuel Macron ha definito «inaccettabili» gli «spostamenti forzati della popolazione». Nonostante le pressioni dei leader internazionali, il governo di Netanyahu non ha intenzione di cedere se non si arriverà a un accordo per il rilascio totale degli ostaggi alle condizioni imposte da Israele.

Secondo l’ufficio del premier nelle mani di Hamas ci sono ancora 59 ostaggi, 24 dei quali ancora in vita e 35 di cui è stata confermata ufficialmente la morte. Trump nello Studio Ovale ha detto che 21 sono quelli vivi.

Una discrepanza che preoccupa il Forum delle famiglie degli ostaggi. «Chiediamo a Israele: se ci sono nuove informazioni di intelligence che ci vengono tenute nascoste, ditele immediatamente», scrivono in una nota. Nessuna risposta.

L’attesa per l’invasione è fino al viaggio nel Golfo Persico di Trump di settimana prossima. Ma alla fine rischia di essere una deadline simbolica. Il ministro della Difesa Katz ha detto che l’esercito, in ogni caso, rimarrà in una zona cuscinetto dentro Gaza anche nel caso di «qualsiasi accordo».

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