Da Washington a Bruxelles, per la sinistra è finita l’età dell’innocenza, ma non è ancora iniziata l’èra della maturità. I Twitter Files hanno aperto una breccia sulle derive illiberali nel campo dem americano. Lo scandalo è finito sotto silenzio, ma a quel punto sono spuntati i faldoni, i documenti secretati che l’attuale presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha omesso di restituire. Ci si potrebbe sforzare di resistere al pericoloso impulso antipolitico di mettere tutti sullo stesso piano, trumpiani e dem, destrorsi e sinistri, se non fosse che Biden è molto più che un esponente del partito democratico, ed è più di un presidente. Si erge a esponente della «grande battaglia per la libertà» e per la democrazia, come lui stesso ha detto non molto tempo fa a Varsavia, battezzando l’ultraconservatore e illiberale governo polacco come suo alleato in questa lotta. Cosa succede quando un leader politico fa dell’etica la sua bandiera e poi però la sua credibilità frana? In teoria, dovrebbe esserci un vivo dibattito. Invece la progressiva erosione del campo a sinistra ci ha rassegnati ormai a reazioni molli. E questo appare evidente anche in Europa: mentre i dirigenti del Partito democratico si arrovellavano sulle modalità di voto per il loro congresso, la credibilità della famiglia politica socialista in Ue ha subìto l’ennesimo colpo. Ma anche qui, nessun grande dibattito; certo, un’ammissione di responsabilità, una bozza di riforma istituzionale, ma anche un sordo silenzio sulle debolezze politiche nel campo progressista.

Il paradosso Biden

«Ma come è potuto succedere? Io mi chiedo, come si può essere stati irresponsabili a tal punto? E quali contenuti c’erano, in quei documenti, che magari potrebbero compromettere le fonti? Decisamente, è stato un gesto irresponsabile». È stato Joe Biden a dirlo a settembre scorso, commentando il ritrovamento di documenti classificati nella casa di Donald Trump a Mar-a-Lago. Ma oggi quegli stessi giudizi gli piombano addosso come un boomerang: come è potuto succedere?, gli chiedono i cronisti. Come può essere stato irresponsabile al punto da disseminare documenti secretati in giro? Un po’ nel suo ufficio, un po’ nel suo garage, i faldoni risalgono a quando Biden era il vice di Barack Obama, e sono stati rintracciati dai suoi avvocati a fine 2022, per poi essere restituiti. Ci sarà un’indagine, e mentre il New York Times sottolinea che «il caso è ben diverso da quello di Trump», c’è da dire che anche la reazione dei media è disomogenea: a sottolineare la mancanza di trasparenza dei dem è Fox News, mentre tra i media di orientamento progressista e nello stesso partito democratico il tema appassiona poco. È una reazione coerente con il dna dichiarato dei democratici?

Il dibattito silenziato

L’età dell’innocenza è finita da tempo, e il paradosso Biden è già deflagrato con i cosiddetti Twitter Files: la ridda di documenti scoperchiata sotto la nuova gestione di Elon Musk rivela la doppia morale dei dem Usa, e pure dei media come il NYT, che siamo abituati a considerare liberali ma si dimostrano in questi casi biased, parziali. Le rivelazioni su Hunter Biden – con l’affaire Ucraina che coinvolgeva anche il padre Joe – sono state celate da Twitter (prima dell’arrivo di Musk), e l’Fbi stessa è intervenuta per condizionare l’attitudine della piattaforma verso lo scoop sul pc di Hunter. Si è arrivati a ventilare interferenze straniere mai dimostrate, per giustificare l’oscuramento della notizia. Un’idea di integrità a dir poco discutibile, peccato che però su quei Twitter Files il dibattito langua.

Il contesto è diverso, lo scandalo pure, ma anche sui disastri dei dem in salsa europea il dibattito è assai meno vivace di quanto ci si dovrebbe aspettare. La capogruppo socialista all’Europarlamento, Iratxe García Pérez, ha fatto notare sommessamente a Roberta Metsola, la presidente d’aula, che la sua proposta di riforma etica non è sufficiente. Ma fino a che punto i socialisti sono pronti a ridiscutere la propria gestione politica, dopo lo scandalo Qatar e Marocco? Era stata proprio García Pérez a puntare su Eva Kaili vicepresidente, e non su richiesta del capodelegazione greco, ma nonostante lui: al leader del Pasok era evidente che Kaili guardasse ormai alla destra di Nea Demokratia, anche se non era chiaro all’epoca il caso di corruzione. A scandalo deflagrato, la riflessione su una cattiva gestione politica tra i dem in Ue non è neppure davvero iniziata.

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