Vladimir Putin ha annullato il 21 febbraio un decreto presidenziale del maggio 2012 che conteneva le «misure di attuazione della politica estera della Federazione russa», ciò «al fine di assicurare gli interessi nazionali russi in relazione ai profondi cambiamenti che stanno avendo luogo nelle relazioni internazionali». 

Ci si aspetta, dunque, la presentazione di un nuovo decreto in materia che riallinei i principi programmatici russi con una situazione internazionale effettivamente mutata dal 2012, complice anche il revisionismo russo in tutte le sue forme. 

Il decreto n. 605, al comma e, definiva anche i rapporti con la Comunità degli stati indipendenti dello spazio post-sovietico, tra cui la Moldavia. Più precisamente il provvedimento prevedeva la ricerca da parte della Russia dei «modi per risolvere il problema della Transnistria sulla base del rispetto della sovranità, dell’integrità territoriale e dello status neutrale della Repubblica di Moldova». 

La notizia ha generato un certo clamore mediatico in relazione a questo punto specifico, probabilmente a causa delle rivelazioni del presidente Volodymyr Zelensky in merito ai piani russi di rovesciare l’esecutivo e la presidenza filoeuropee attualmente in carica, poi confermate dal riscontro da parte della stessa presidente moldava, Maia Sandu, di azioni russe volte alla «destabilizzazione» del paese.

Un decreto inattuato

I vari punti programmatici del decreto, un documento non vincolante ma d’indirizzo, fanno riferimento a tutte le direttrici della politica estera di Mosca. Sono, infatti, decaduti con l’annullamento anche i commi in cui il decreto prevedeva che le autorità russe avrebbero «contribuito alla creazione di condizioni esterne favorevoli per lo sviluppo a lungo termine della Federazione», non di certo un aspetto che vedrà inversioni di tendenza con la nuova versione.

Il decreto, inoltre, poteva dirsi già da tempo inattuato. Azioni e retorica russe avevano già smentito l’impegno dichiarato di «ricercare l’instaurazione dello stato di diritto nelle relazioni internazionali» e di sostenere «i principi fondamentali della Carta dell’Onu».

Lo stesso può dirsi delle sezioni riguardanti i rapporti con l’Unione europea e gli Stati Uniti, linee programmatiche figlie di un’epoca di rapporti sicuramente migliori rispetto a quelli attuali. Esempio lampante il punto sulla «coerente attuazione» del New Start, trattato bilaterale con gli Stati Uniti sul controllo degli armamenti nucleari “sospeso” ieri da Putin e in scadenza nel 2026.

Nonostante la sospensione, il Cremlino ha detto che rispetterà comunque il limite sul numero delle testate nucleari imposto dal trattato.

Lo spazio post-sovietico

La sezione più interessante è quella che riguarda i rapporti con la Comunità di stati indipendenti (Csi), organizzazione internazionale nata nel 1991 che riunisce nove delle ex repubbliche sovietiche.

La sezione, per esempio, esplicita la volontà russa di «cooperare» con la Bielorussia, un altro principio che difficilmente verrà espunto dal nuovo eventuale decreto.

Più sfumata la questione relativa ad Abkhazia e Ossezia, repubbliche filorusse autoproclamatesi indipendenti ai danni dell’integrità territoriale georgiana. Nel vecchio decreto, infatti, la Russia si impegnava a «contribuire all’affermazione delle due repubbliche come stati democratici moderni»: alcuni commentatori sostengono che la Russia abbia così ritirato il parziale riconoscimento delle due repubbliche e potrebbe orientarsi verso la loro annessione. 

Il dubbio è sulla volontà del Cremlino di aprire un nuovo fronte di conflitto nel Caucaso alla luce dello sforzo profuso nella nuova offensiva in Ucraina. 

La Moldavia

La medesima considerazione, realisticamente, vale per la Moldavia. Svincolandosi dall’impegno di cercare soluzioni pacifiche per il “conflitto congelato” della Transnistria, Putin potrebbe dichiarare l’annessione della repubblica filorussa situata al confine occidentale dell’Ucraina. 

Un tale gesto, tuttavia, rischierebbe di essere totalmente vano. L’annessione potrebbe indurre i governi di Moldavia e Ucraina a colpire le esigue truppe russe stanziate come operatori di pace nella regione a cui non sarebbe difficile, considerando la collocazione geografica, tagliare i rifornimenti. 

La reale preoccupazione è che la Russia sfoderi le armi più pericolose del proprio arsenale asimmetrico. Anziché sferrare un’improbabile azione offensiva via mare in Transnistria o sperare nella capacità bellica limitata delle truppe già presenti, il Cremlino potrebbe attuare quelle operazioni definite “irregolari” con cui ha attaccato Donbass e Crimea sin dal 2013. 

In relazione agli sviluppi recenti è comprensibile il timore per l’attuazione di azioni di questo tipo, afferenti al dominio della disinformazione e dell’influenza tramite diversi canali. Il nuovo premier moldavo, infatti, Dorin Recean, subentrato alla dimissionaria Natalia Gavrilita, ha affermato di temere «un colpo di stato orchestrato dalla Russia». Su una linea simile anche la presidente Sandu che imputa alla Russia di aver già destabilizzato il paese tramite l’aumento dei prezzi dell’energia. 

Confermano un più generale interesse russo alla creazione di condizioni sfavorevoli all’attuale maggioranza le proteste antigovernative tenutesi tra il 20 e il 21 febbraio e finanziate dal partito filorusso Sor. 

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