Il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, è arrivato in Italia ieri nel pomeriggio, nelle stesse ore in cui i dintorni dell’aeroporto di Kabul si trasformavano nello scenario di una carneficina. Oggi alle dieci e trenta incontrerà il presidente del consiglio Mario Draghi e poco più tardi vedrà il suo omologo, il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio.

La visita di Lavrov in Italia è fondamentale per il presidente del consiglio italiano, che si è posto l’obiettivo di utilizzare la presidenza del G20 per creare un consenso allargato sull’approccio da tenere nei confronti del nuovo regime talebano in Afghanistan. Allargato, si intende, oltre il perimetro del G7 e di una Nato oggi più sfilacciata che mai.

Nel comunicato ufficiale della Federazione russa l’Afghanistan non è nominato, ma c’è un chiaro riferimento alla cooperazione nella lotta al terrorismo internazionale.

La Russia ha tutto l’interesse al dialogo coi paesi occidentali su questo dossier per almeno due motivi, dice Giampiero Massolo, già direttore del Dis e oggi presidente di Ispi, uno dei principali think tank italiani di politica internazionale.

La prima e quasi ovvia ragione è che Mosca ha bisogno di avere un Afghanistan stabile ai suoi confini e non può permettersi la nascita di quello che già molti temono diventi un santuario del terrorismo.

La seconda ragione è che Mosca non ha oggi le capacità di muoversi autonomamente su una crisi come questa, difficile da gestire per tutti. In Siria e in diverse aree dell’Africa subsahariana Putin ha riempito in maniera molto abile i vuoti lasciati dai paesi occidentali, ma la stagione è cambiata e l’emergenza è differente. «Mosca è in questo momento overstretched, troppo tesa: ha casse vuote per interventi unilaterali, con il calo dei prezzi del petrolio, e una situazione già tesa in Ucraina: in questo momento non sarebbe in grado di prendere iniziative indipendenti».

È anche una Russia che, nonostante il legame con la Germania, rappresentato solidamente dai cantieri del gasdotto Nord stream 2, ha più difficoltà di prima a dialogare con l’Europa occidentale.

Sarebbe difficile il contrario considerando gli avvenimenti degli ultimi anni. Nel 2018 l’avvelenamento dell’agente Skipral a Londra per cui la Gran Bretagna ha accusato un uomo vicino al Cremlino, nel 2019 il sospetto di un altro assassinio di stato a Berlino, poi l’avvelenamento dell’oppositore Aleksej Navalny, su cui non ci sono sospetti ma prove e a cui è seguito uno scontro diplomatico senza precedenti culminato nelle accuse lanciate dal ministro degli Esteri Lavrov contro Ue e Stati Uniti, a fianco dell’Alto rappresentante Ue Borrell in visita a Mosca.

Le ragioni di Roma

D’altra parte anche Draghi ha almeno due notevoli ragioni per cercare la sponda russa. La prima, dice Massolo, «è che Mosca ha ancora una notevole influenza anche strategica sulle repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale e può muovere leve che in questo momento sono necessarie, nella gestione della crisi umanitaria e non solo».

La seconda è che la Russia è altro rispetto a quello che nella vulgata viene chiamato occidente, ma è un “altro” diverso rispetto alla Cina, cioè il competitor su cui gli Stati Uniti stanno concentrando la loro attenzione strategica, costringendo anche la malconcia Alleanza atlantica a fare la stessa cosa. E quindi per trovare il più ampio consenso possibile e impedire corse in avanti nel riconoscere il governo talebano in questo momento è fondamentale avere la sponda della Russia. L’alternativa sarebbe una intesa menomata.

Il vertice di Pratica di Mare che per la prima volta portò Putin al tavolo della Nato, nacque da una telefonata a Bush Jr durante una visita di Berlusconi a Sochi. Chissà se domani dopo la visita di Lavrov ci sarà una telefonata anche a Washington.

 

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