Gli avvenimenti di inizio anno in Kazakistan hanno sorpreso tutti gli osservatori che avevano ritenuto il più grande paese del centro Asia un esempio di stabilità e buon funzionamento rispetto agli altri paesi dell’area. Il Kazakistan era considerato un’autocrazia progressiva, in cui il sistema di trasmissione del potere – dal padre della patria Nazarbaiev all’attuale presidente Toqayev – sembrava quasi un modello per le altre repubbliche post sovietiche, modello in grado di evitare al paese le convulsioni politiche che ad esempio si erano verificate in Uzbekistan alla morte del presidente Karimov.

Il Kazakistan in realtà non è mai stato esente da tumulti e rivolte popolari. Nel 2011 un’ondata di proteste dei lavoratori dei campi petroliferi nella città di Zhanaozen, in una delle zone più industriali nei pressi del mar Caspio, si era estesa a tutto il paese. Le dimostrazioni erano diventate violente con decine di feriti e almeno quindici dimostranti uccisi dal fuoco della polizia.

Nel 2016 diverse proteste furono provocate dal tentativo di riformare pesantemente il codice della terra, poiché si temeva che la riforma avrebbe favorito capitali cinesi nell’acquisto di vasti territori.

Inoltre a partire dal 2018 numerose sono state le manifestazioni di donne che protestavano contro il mancato sostegno da parte dello stato per madri singole e famiglie numerose.

La crisi attuale nasce dal malcontento che si è manifestato nel momento in cui il governo ha aumentato il prezzo del gas, prezzo che è raddoppiato dopo la liberalizzazione del mercato del gas usato come carburante. La protesta in realtà è stata l’espressione di un malcontento più generale causato dagli ultimi due anni di crisi economica durante i quali il tenore di vita è notevolmente peggiorato.

L’inflazione è cresciuta all’8,9 per cento, con i prezzi dei generi alimentari aumentati in un anno di circa l’11 per cento; il calo dei redditi reali inoltre ha fatto crescere quest’anno l’indebitamento delle famiglie del 12 per cento rispetto all’anno precedente. A questo si sono aggiunti gli effetti della pandemia che hanno notevolmente peggiorato le condizioni del mercato del lavoro.

Secondo i dati ufficiali dell’Unione Economica Euroasiatica il tasso ufficiale di disoccupazione è cresciuto del 12 per cento nel 2021. Il ceto della popolazione più colpito dalla disoccupazione è stato quello degli emigranti interni, costituito principalmente da giovani (va ricordato che in Kazakistan l’età media della popolazione è minore di 32 anni). Gli emigranti interi si muovono dalla città alla campagna in cerca di occupazione e sono stati bloccati dalle severe restrizioni al movimento dovute alla pandemia.

Le principali destinazioni di questi emigranti interni erano la nuova capitale Nur Sultan e soprattutto la vecchia capitale Almaty che rimane il vero centro economico, finanziario e politico del paese. Ad Almaty si sono infatti svolte le manifestazioni più importanti del movimento di protesta. Probabilmente da questa parte giovane della popolazione è venuta la massa dei dimostranti e l’immediata radicalizzazione della protesta.

Ricchezza per pochi

La protesta che si è verificata è anche la conseguenza della diffusa consapevolezza fra i cittadini kazaki che i frutti della ricchezza energetica non sono stati distribuiti alla popolazione, ma sono stati trattenuti da una ristrettissima parte, quella parte che governa il paese attraverso il tumultuoso processo di privatizzazione post sovietico. I salari sono bassi – il salario medio è 100 euro al mese – la corruzione è dilagante e la pandemia ha mostrato la grande inefficienza del sistema sanitario.

È evidente che in Kazakistan esisteva ed esiste una situazione di grande malcontento economico, sociale e politico che deriva da trent’anni di indipendenza che hanno visto crescita ma non sviluppo condiviso.

Lo stesso fenomeno di crescita senza sviluppo e di concentrazione del potere economico e politico nelle stesse mani si è verificato in tutti gli stati post sovietici. In particolare i paesi centroasiatici non hanno mai avuto un carattere nazionale ben definito avendo fatto parte della statualità prima imperial-zarista e poi sovietica.

Certamente l’era di Nazarbayev è finita. Il nuovo presidente Toqayev ha promesso riforme istituzionali, politiche e una redistribuzione della ricchezza creata dai proventi energetici. È evidente che se il Kazakistan vuole trovare una nuova via alla stabilità e alla crescita, queste riforme sono ineludibili. Toqayev ha bisogno di una nuova classe dirigente che riformi la struttura economica ed istituzionale ereditata da Nazarbayev. Un compito molto difficile se si vuole salvaguardare l’unità e l’esistenza del paese.

 

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