- Confesso - dopo questi primi giorni di celebrazione della figura di don Milani – di essere stato investito da un dubbio. Ci vuole molto poco – soprattutto quando si occupano i mezzi di comunicazione più popolari senza fare prigionieri - per farlo scendere dagli altari e farlo salire sul banco degli imputati.
- Il delirio professionalizzante della scuola di Valditara ha un obiettivo polemico ben preciso: soffocare quel che per don Milani era l’unico vero strumento capace di far saltare il banco dell’omologazione sociale, cioè la scrittura.
- Sono sempre più convinto che tra dieci anni gli studenti più brillanti non saranno quelli che si distingueranno per le competenze digitali o per la conoscenza di una lingua straniera, ma quei pochi rimasti che sapranno ancora scrivere in italiano.
Per chi come me – che nella sua vita è (non si smette mai di esserlo) obiettore di coscienza e ha scelto di dedicarsi a un lavoro educativo – osservare che il centenario della nascita di don Milani abbia avuto un’eco pubblica e persino istituzionale così rilevante non può che far piacere e addirittura commuovere. L’auspicio è ovviamente che quest’occasione venga sfruttata per provvedere a un ripensamento della Scuola, della sua funzione pubblica di istituzione, del suo essere necessaria al recu



