A San Francisco, mentre scrivo, è ancora il 5 gennaio, ancorché sera uggiosa e deserta. In attesa delle celebrazioni ufficiali di “quella cosa che non si bene ancora come si chiama”, ma che avvenne il 6 gennaio del 2021, c’è una piccola-grande notizia. Non ci sarà la versione di Donald Trump, nell’anniversario.

L’ex presidente, che aveva baldanzosamente annunciato una conferenza stampa nella sua residenza di Mar a Lago in Florida (che è una copia di Xanadu, la tomba del Citizen Kane di Orson Welles, che sempre di più The Donald cerca di imitare) è stata cancellata. Buon segno, anche perché era stato anticipato quello che Trump aveva intenzione di dire: che il 6 gennaio agirono dei patrioti che giustamente avevano protestato contro il furto del risultato elettorale; che coloro che sono in carcere sono da considerarsi “prigionieri politici”; che i democratici perseguono una caccia alle streghe contro la sua persona, ma che lui per primo intende ricandidarsi e vincere, e ridiventare presidente degli Stati Uniti nel 2024.

Questo avrebbe detto, aveva fatto sapere il suo entourage. E avrebbe aggiunto che il principale compito del partito repubblicano sarà di assicurarsi che mai più i democratici possano avere la possibilità di rubare le elezioni. E quindi benvenute le nuove leggi che assicurano preventivamente che alle elezioni ci deve essere solo un vincitore, il partito repubblicano. O meglio il nuovo partito di Donald Trump. E avrebbe anche aggiunto che con Biden la criminalità dilaga, che la Cina ci sta addosso, che i messicani sono tutti narcos, che il popolo è con lui, etcetera etcetera. E siccome non era un comizio, ma una conferenza stampa, c’era di giurare che la performance dell’ex presidente avrebbe fatto notizia ovunque.

La frattura trumpiana

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E invece, no. Tutto cancellato; secondo il sito Axios, che per primo ha lanciato la notizia, a convincere The Donald a desistere sarebbero stati il potente senatore repubblicano della South Carolina, Lindsey Graham e gli ambienti di Fox news, che avrebbero dovuto magnificare l’evento. Perché? “Troppo rischioso”, “potenzialmente controproducente”. Piccolo segno, forse, ma anche la spia che la gloriosa macchina da guerra repubblicana, non è così compatta, e che i piani di vittoria forse sono stati troppo frettolosi.

La questione della conferenza stampa cancellata ha molto a che fare, prima ancora che nel partito, nel suo “braccio armato”, che è il colosso mediatico Fox news, proprietà di Rupert Murdoch, principale artefice della vittoria trumpiana del 2016, leggermente meno convinta nel 2020, ma comunque sempre la più formidabile cassa di risonanza per Trump. Stiamo parlando di una catena mediatica enorme, della più vista televisione americana, con un palinsesto sontuoso e star televisive e radiofoniche potentissime, cui si aggiungono giornali di consolidato prestigio come il Wall Street Journal e giornali popolari di grande diffusione come il New York Post.

Fox news e alleati hanno sparso, e continuano a farlo, una potenza di fuoco populista, fascistoide e razzista che trova pochi uguali nel mondo. Un caso tra tutti: un conduttore radiofonico, Rush Limbaugh, è andato in onda per una ventina d’anni, ogni giorno, impestando gli automobilisti che tenevano la radio accesa, e parlando senza fermarsi mai, di negri stupratori, di froci californiani, di radical chic pervertiti, che stavano minando la civiltà americana, la sua famiglia, il suo diritto a possedere armi, la sua bianchezza.

Rush Limbaugh è stato, altro che Facebook, il più grande sostenitore di Trump, e quando era in punto di morte per cancro, Trump stesso lo ha premiato come un eroe americano. Ha lasciato un vuoto, però. Non ha successori in grado di parlare al popolo, per Trump è una colpa grave. Come può pensare, il presidente deposto di condurre il paese verso il suo culto della personalità, se non ha Rush Limbaugh, se non ha Fox news che gli stiano dietro? (L’uomo, come ormai sanno tutti, è inguaribilmente pazzo).

Ecco perché la piccola-grande notizia della cancellazione della conferenza stampa di Trump mi sembra importante. È il segno di una frattura nel suo dominio sul partito, e soprattutto sui media. Se Fox news non puntasse più su di lui, ovviamente Trump sarebbe finito. E con lui la sua politica, e la sua visione del mondo.

Cheney vs Trump

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E qui si affaccia un’altra storia, che, perlomeno giornalisticamente, promette di crescere. C’è una signora di 56 anni, avvocato, madre di cinque figli, deputata del partito repubblicano eletta alla Camera per il Wyoming. Si chiama Elizabeth (Liz) Cheney  e presto faremo l’abitudine al suo volto: una bella signora con i capelli biondi pettinati in stile anni cinquanta, e un discreto paio di occhiali da vista.

Nel panorama politico, Liz Cheney era nota principalmente per essere la figlia del più detestato uomo politico americano nella storia recente, l’infamous Dick Cheney, vice presidente di George W. Bush, l’uomo che ordì la più nefasta delle politiche estere americane, l’invasione dell’Iraq con la scusa del suo possesso di inesistenti “armi di distruzione di massa”, simbolo dell’anima nera e corrotta di un imperialismo avido e feroce. Ebbene, Liz Cheney, che segue la visione di vita del padre: un’America forte, militarizzata per rispondere ai nemici, fedele alle tradizioni e alla morale antica (anche se ammise di essersi sbagliata per esserci opposta al matrimonio gay; la sua sorella maggiore lo aveva fatto, il matrimonio gay), è oggi il più visibile ostacolo alla resistibile marcia di Trump verso la riconquista della Casa Bianca.

Liz Cheney non solo ha condannato gli eventi del 6 gennaio e il ruolo di istigatore che Trump ha avuto (è una dei soli dieci deputati repubblicani che lo hanno fatto); ma è stata cooptata nella commissione d’inchiesta bipartisan che è oggi l’unica istituzione che ancora cerca la verità su quanto è successo. Per questo suo ruolo, il suo partito l’ha messa alla gogna: minacce di morte che l’hanno costretta ad assumere (con i propri soldi) una scorta, espulsione dal suolo di dirigente repubblicana alla Camera e ostracismo totale nello stato che nella primavera prossima è chiamato a rieleggerla. L’avversione trumpista è così forte che si dice che Liz potrà essere rieletta solo se i democratici voteranno per lei.

L’inchiesta e Fox News

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Però avviene che nella commissione d’inchiesta, proprio la repubblicana Liz Cheney sia diventata la più solida e determinata nella ricerca di accertare, e sanzionare, le responsabilità dell’ex presidente. E questo l’ha portata molto vicina a Fox news. La commissione ha infatti acquisito una massa enorme di documenti (email, whatsapp, chat) che legano i vertici della televisione agli avvenimenti del 6 gennaio.

Si scopre così che il principale conduttore, la star del trumpismo Sean Hannity, era al corrente, prima, dei progetti violenti dei manifestanti e che, durante gli eventi, abbia più volte cercato di imporre a Trump un intervento pubblico per far cessare la rivolta. Insieme a lui, altri dirigenti della tv; e anche i due figli del presidente. Sforzi vani. Trump non rispose agli appelli; a dimostrazione, che all’interno di un generale orientamento sovversivo, c’erano tra i repubblicani, nuances differenti. E che Trump, e il suo cerchio ristretto, forzò la mano.

Ora la commissione, e lo ha fatto con il volto di Liz Cheney, chiamerà tutti questi personaggi a testimoniare; e lei stessa ha pronosticato quale sarà il finale della storia, per quanto si è impegnata: la richiesta di incriminazione di Donald Trump per favoreggiamento di una cospirazione volta a sovvertire il risultato delle elezioni, ovvero il fondamento della democrazia americana. Un’accusa, prima ancora che una condanna, che renderebbe praticamente impossibile la ricandidatura di Trump per il 2024, e quindi anche il  peso opprimente che ha tuttora nel partito.  

Liz Cheney ci crede. Se Sean Hannity accettasse di andare a testimoniare, in diretta televisiva, potrebbe essere il Joe Valachi, o il Tommaso Buscetta, del nuovo secolo. È per questo che Trump ha disdetto la sua conferenza stampa.

Cari lettori, il vostro Anthony Sanfilippo, alterego del vostro temporaneo corrispondente a distanza di un anno dal 6 gennaio, «l’evento che sconvolse il mondo», adesso si mette sul divano, anche perché Omicron avanza, e aspetta gli eventi. Roberto Calasso amava dire: gli americani non hanno avuto il fascismo, hanno avuto il musical. O forse aveva detto: non hanno avuto il fascismo, perché hanno avuto il musical; mi è sempre rimasto questo dubbio. Comunque, sarebbe bello che finisse così anche stavolta.

Enrico Deaglio è l’autore di Cose che voi umani, Marsilio editore, 2021. Una cronaca del passato e del futuro dell’insurrezione del 6 gennaio a Washington, vista con gli occhi della fantascienza e della letteratura.

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