Dopo 17 mesi di trattative, la bozza di proposta dell’Unione europea che punta a salvare l’accordo nucleare del 2015, sulla quale stanno lavorando diplomatici di Inghilterra, Francia, Germania, Russia e Cina, ha ricevuto le osservazioni statunitensi ai commenti iraniani. È attraverso l’Unione europea che si sta svolgendo il negoziato tra Stati Uniti e Iran, in ragione del rifiuto iraniano di avere colloqui diretti con gli Stati Uniti.

Da parte statunitense ci sarebbero ancora alcune questioni da limare ma, al tempo stesso, Teheran ha ritirato alcune richieste su cui erano emerse criticità, tra cui quella relativa alla rimozione del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica (Ircg) dall’elenco delle organizzazioni terroristiche.

Le osservazioni

Secondo una ricostruzione di Politico, le osservazioni fatte pervenire da Washington tramite l’Unione europea e attualmente all’esame dei negoziatori iraniani dovrebbero riguardare le esigenze dell’Iran in materia di garanzie economie e alleggerimento delle sanzioni.

In particolare Teheran vuole cautelarsi per attutire gli effetti economici negativi nel caso in cui l’accordo dovesse fallire nuovamente. Nel caso, una delle garanzie potrebbe prevedere la possibilità per le aziende straniere di poter continuare ad operare in Iran per due anni e mezzo senza il rischio di incorrere in sanzioni.

L’Iran sta inoltre cercando ulteriori garanzie affinché l’accordo possa impegnare anche le future amministrazioni statunitensi. Una questione centrale per Teheran, alla luce dell’uscita dall’accordo nel 2018 da parte dell’ex presidente Donald Trump, su cui tuttavia l’amministrazione Biden non può fornire impegni vincolanti.

Accordi e disaccordi

I funzionari statunitensi ritengono che la ripresa dell’accordo sia il modo migliore per impedire all’Iran di ottenere un’arma nucleare e puntano sulla possibilità da parte dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) di attuare un regime di ispezioni senza precedenti nei confronti dell’Iran. Puntano inoltre a limitazioni all’arricchimento dell’uranio tali da avere una finestra di almeno sei, nove mesi nel caso in cui l’Iran decidesse di abbandonare l’accordo, prima che sia poi in grado di disporre di un’arma nucleare.

Questa limitata finestra temporale potrebbe rappresentare un elemento a favore dell’Iran per scoraggiare Washington dall’abbandonare l’accordo. Un altro tema sui cui si sta sviluppando il negoziato è l’indagine Aiea sulle tracce di uranio in tre siti di ricerca mai dichiarati dall’Iran e che farebbe sospettare l’esistenza di un programma clandestino di armi nucleari durato almeno fino al 2003. Per archiviare l’inchiesta Aiea, questa la proposta dei funzionari dell’Unione europea, l’Iran dovrebbe chiarire le origini dell’uranio prima del giorno della reimplementazione, ovvero il giorno in cui l’accordo entrerà in vigore.  

I timori israeliani

Mercoledì scorso il primo ministro israeliano Yair Lapid ha esortato l’amministrazione Biden ad abbandonare i colloqui con l’Iran, affermando che la possibile intesa non è riuscita a «soddisfare gli standard stabiliti dallo stesso presidente Biden: impedire all’Iran di diventare uno stato nucleare».

Lapid ha anche ribadito che i fondi congelati (stimati in 100 miliardi di dollari) che l’Iran riceverà nell’ambito del nuovo accordo consentiranno a Teheran di finanziare le Guardie della rivoluzione, Hezbollah, Hamas e la jihad islamica e di condurre attacchi alle basi americane in medio oriente. Israele ha confermato tutte le sue preoccupazioni circa un nuovo accordo, rispetto al quale non si sentirebbe vincolato.  

Le ricadute regionali

Le incognite del nuovo accordo non sono circoscritte alla sicurezza di Israele e si incrociano con le attività dell’Iran in Siria, dove lo scorso 23 agosto le forze statunitensi hanno colpito alcune milizie sostenute dall’Iran nei pressi di Deir ez-Zor, per difendere, come comunicato da una nota diffusa dallo Us Centcom, le forze statunitensi operanti in Siria che erano state attaccate lo scorso 15 agosto.

Vi sono poi le implicazioni e le possibili conseguenze regionali dell’accordo sul Libano e sulle azioni degli Hezbollah. Questi ultimi hanno incrementato la retorica aggressiva e le minacce contro Israele per il giacimento conteso di Karish, al largo della costa israeliana, nell’ambito dello sfruttamento del gas naturale che potrebbe degenerare in una pericolosa escalation.

Le sfide ancora aperte

Nonostante le limitazioni all’arricchimento dell’uranio, le ispezioni dell’Aiea e il “congelamento” delle centrifughe realizzate dopo l’uscita statunitense dal Jcpoa restano molte incognite circa la tenuta del nuovo accordo. In primo luogo la finestra per realizzare un ordigno nucleare passa dagli iniziali 12 mesi a nove. Troppo pochi secondo i più critici ma allo stesso tempo molto di più rispetto all’attuale situazione, senza accordo, in cui l’Iran potrebbe impiegare pochi giorni. La portata delle restrizioni al programma nucleare è limitata inoltre all’attuale presidenza americana, mentre il precedente accordo prevedeva una finestra ventennale.

Lo stesso contesto internazionale è profondamente cambiato rispetto al 2015 e dalla reciproca fiducia tra i ministri Kerry e Zarif si è passati a negoziati indiretti e con funzionari di seconda fascia. Inoltre, sebbene Biden non si sia affrettato a rientrare nell’accordo, confrontandosi con i partner e alleati regionali (Israele, Emirati Arabi e Arabia Saudita), l’assenza di una visione complessiva e di un solido balance of power della regione lascia irrisolte tutte le preoccupazioni che avevano minato sin dal principio l’accordo, di ben più ampio respiro, dell’amministrazione Obama.

Da ultimo, il mutato contesto internazionale e la guerra in Ucraina hanno rafforzato la convinzione in Iran che il mondo sia diventato irreversibilmente multipolare. Uno scenario che consente a Teheran di guardare più verso la Russia e la Cina che non verso l’Europa, peraltro bisognosa di compensare le forniture energetiche della Russia, e gli Stati Uniti. Una convinzione rafforzata dalla possibile e ulteriore divaricazione tra l’economia globale tra occidente e oriente che consentirebbe maggiori spazi anche per sfuggire alle sanzioni statunitensi.

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