Trent’anni fa Desert Storm, la guerra del Golfo. Dieci anni fa le primavere arabe. Due anniversari diffusamente commentati sui media ma con una caratteristica comune: l’estraneità quasi che l’Italia, l’Europa o l’occidente non c'entrassero nulla.

Tale mancanza di empatia nei confronti del mondo arabo non è nuova.

La guerra “giusta”

Sulla guerra del Golfo ad esempio si sono lette analisi sbalorditive: una guerra giusta contro il «feroce rais» iracheno, Saddam Hussein. Nessuna indagine sulle decisioni controverse che portarono a quel conflitto, a cui ne sono seguiti altri che proseguono fino ad oggi. Nessuna autocritica. L’analisi che va di moda è che fu una guerra giustificata dall'invasione del Kuwait, mentre la seconda guerra del Golfo del 2003, quella sì (al limite) fu un conflitto sbagliato, basato sulla menzogna dell'esistenza fittizia delle armi di distruzione di massa.

Tale ragionamento non tiene conto del legame tra le due guerre: la prima produsse la seconda. L’Iraq prima del 1990 era il paese più laico del mondo arabo.

Dopo il 1991 le sanzioni lo riportarono molto indietro. Tra le conseguenze, ciò causò la rovina di un sistema educativo moderno e l'emersione dei prodromi dell'islamismo.

Saddam stesso utilizzò la retorica religiosa per sopravvivere, fondando ad esempio la grande università islamica dove si formò Abu Bakr al Baghdadi, califfo dell’autoproclamato Stato islamico.

La menzogna che platealmente circondò la seconda guerra del Golfo (della quale nessuno si è mai ravveduto) si radica negli errori politici della prima guerra, soprattutto quelli del lungo dopoguerra con il quale i paesi del Golfo ottennero dall'occidente di strangolare l'Iraq.

Fu così che dal sonno della ragione occidentale nacquero i mostri con cui abbiamo a che fare oggi: l’Isis. Con quella guerra abbiamo perso il medio oriente, oggi nel caos.

Lontani dalle primavere

Il medesimo atteggiamento riluttante si ritrova nella commemorazione delle primavere arabe. Non ci fu (e non c’è nemmeno oggi) alcuna simpatia per quella vicenda di speranza e ribellione delle giovani generazioni arabe.

Anzi: le primavere provocarono nelle leadership occidentali più paura che interesse.

Si preferiva un mondo arabo immobile, sottoposto a regimi autoritari, fornitore di gas e petrolio.

Già con la guerra di Algeria degli anni Novanta era emerso tale atteggiamento: meglio i generali che la democrazia perché quei popoli devono essere tenuti a freno e non devono migrare.

Presa di distanza

Alle prime difficoltà si disse che le primavere erano divenute degli inverni ma la verità era che nessuno si impegnò nella loro difesa.

Né ci si sforzò di capire quei giovani. Ogni movimento di piazza, anche quello di piazza Tahrir al Cairo, fu circondato da supponente scetticismo misto ad ansia. Sullo sfondo il terrore dell’islam politico, percepito come nemico mortale.

Pur di non rischiare, si accettavano ieri e si accettano ancora oggi dittature sanguinarie che uccidono e torturano i loro concittadini (e non solo i loro, come sappiamo bene).

Intestardirsi a non voler capire niente dei nostri vicini arabi, avallando l'unica opzione del totalitarismo corrotto, non ci ha favorito né ci aiuterà a stare più tranquilli. Al contrario continuerà a scavare fra i due mondi un abisso più grande.

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