Goffredo Fofi è un uomo di sinistra che ha vissuto con coerenza questa scelta partigiana senza sentire il bisogno di metterla dentro le forme di un partito. Ha fatto politica, ma da un punto di vista etico. Come intellettuale non ha cercato legittimazione accademica, facendosi guidare non dai canoni disciplinari ma dalla curiosità e dal senso morale. Per chi, come me, si è formato alla scuola dei “perplessi” di Norberto Bobbio, il confronto con i “persuasi” che, come Fofi, si richiamano invece alla lezione di Aldo Capitini, è problematico. Fare i conti con le cose che scrive mi costringe a uscire dall’area in cui sono più mio agio, devo lasciarmi alle spalle il perimetro rassicurante delle note a piè pagina e del ragionamento sui principi, per avventurarmi su un terreno in cui gli argomenti sono sempre ad personam, in quanto mirano a convincere qualcuno, qui e ora.

Credo sia per via di queste peculiarità di Fofi come intellettuale e attivista che un suo scritto recente (in realtà la riscrittura di un volumetto uscito per la prima volta nel 2015) mi è tornato in mente dopo aver visto le immagini dell’azione di protesta dei giovani militanti di Ultima generazione che nei giorni scorsi hanno imbrattato la facciata dell’edificio del Senato con della vernice (cancellabile) allo scopo di richiamare l’attenzione della politica e dell’opinione pubblica sulla crisi climatica, e sull’assenza di azioni credibili da parte di diversi governi – incluso quello italiano – per contrastarla.

Nel suo Elogio della disobbedienza civile (Nottetempo, Roma 2022) Fofi difende l’uso di metodi di protesta che comportino anche l’infrazione della legge, ma con metodi nonviolenti, invocando una disobbedienza civile che «sa distinguere, che sa convincere, che sa assumere le responsabilità, e dunque le conseguenze, dei suoi gesti e difenderne la necessità, diffondendone i fini e i modi. Quella responsabile nei confronti del prossimo, e della natura, e dei nuovi arrivati e dei nuovi nati».

Ripensando a questo libro mi sono reso conto del perché, come molti, sono rimasto colpito dall’azione dei ragazzi di Ultima generazione. Non per il danno arrecato, di lieve entità, o per la “sacralità” del luogo (viviamo un tempo in cui neppure i luoghi del culto si sottraggono a usi e abusi mondani), ma perché andando consapevolmente contro la legge, e accettando di subirne le conseguenze, gli autori della protesta hanno messo a disposizione il proprio corpo, la propria libertà personale, a servizio di una causa.

Dal pensiero all’azione

Sarebbe facile sminuire l’enormità di questo gesto attribuendolo all’incoscienza giovanile. Questa, purtroppo, è stata la reazione di molti nella stampa e nei partiti politici: il paternalismo è l’ultimo succedaneo della moralità che possiamo permetterci. Non c’è nulla di incosciente nella scelta della modalità della protesta: pensata per ottenere visibilità, perseguita nella consapevolezza di violare la legge, attuata senza uso di violenza e accettando di subire le conseguenze legali delle proprie azioni. C’è consapevolezza, pensiero che si traduce in azione. Altrettanto sbagliata è l’accusa di “vandalismo”. Non solo perché si è scelto un metodo che evitasse danni permanenti, ma perché il proposito non era affatto distruggere, ma costruire: attivare un processo di risveglio delle coscienze nei confronti di una minaccia esistenziale.

Gli attivisti volevano scuoterci dal nostro torpore e mostrarci che siamo già dentro una crisi che potrebbe mettere in pericolo il benessere e la stessa sopravvivenza di milioni di persone. La disobbedienza civile, scrive Fofi, si accompagna sempre all’obbedienza civile. Nell’accettazione delle conseguenze delle proprie azioni, e nella motivazione che le ispira, che non è di sottrarsi al patto sociale, ma di ravvivarlo col proprio esempio.

Negli stessi giorni in cui divampava la polemica sull’azione dei militanti di Ultima generazione, venivano resi noti dati che mostrano un significativo cambiamento dei millennials nel Regno Unito e negli Stati Uniti rispetto alle generazioni precedenti: non diventano più conservatori invecchiando. Nel commentare questi dati, John Burn-Murdoch del Financial Times ha osservato che ci sono probabilmente molti fattori all’opera che potrebbero spiegare questa inversione di tendenza, diversi dei quali hanno a che fare con il modo in cui questa generazione è cresciuta. Chi è nato all’inizio del secolo, infatti, non aveva ancora dieci anni quando è scoppiata la crisi finanziaria, e ha vissuto la propria infanzia e la propria adolescenza all’ombra delle conseguenze economiche e sociali di questo evento. Crescendo ha dovuto fare i conti con Brexit, l’elezione e la presidenza di Donald Trump, il Covid e ora la guerra in Ucraina. Opportunità che scompaiono, società che si ripiegano su sé stesse, una politica che si alimenta di egoismi individuali e collettivi.

Non c’è da sorprendersi dunque se, dove questi fenomeni sono stati più forti, per la prima volta nella storia recente, una generazione sta riscoprendo valori che la spingono verso l’impegno e la solidarietà. Nell’età della policrisi non puoi cavartela da solo. Hai bisogno di compagni che ti sostengano nella difficile lotta per strappare a un presente ingrato la promessa di un futuro migliore di quello che il mondo attuale fa intravedere.

Ecosocialisti

Credo sia prematuro proiettare questa tendenza anche in Italia. Tuttavia, gesti come quello degli attivisti di Ultima generazione fanno pensare. Colpisce che in prima fila tra chi li ha criticati ci fossero molti che si dicono “riformisti”. Sia negli Stati Uniti sia nel Regno Unito la nuova consapevolezza politica dei millennials si orienta verso la congiunzione tra ambientalismo e socialismo.

Si chiedono politiche che favoriscano la transizione ecologica e si riconosce che queste richiederanno necessariamente intervento pubblico e redistribuzione. Si esercita pressione sui partiti storici (i Laburisti in Uk e i Democratici negli Usa) perché abbandonino definitivamente l’ideologia neoliberale adottata negli anni Novanta e si facciano artefici di una “nuova sintesi” ecosocialista. L’impressione è che la chiusura nei confronti di questi episodi, per il momento isolati, di attivismo ambientalista sia dovuta al timore che anche in Italia si inneschi un processo di revisione simile a quello in corso in Uk e Usa. Una sensazione confermata anche dalla lettura del libro di Fofi, che imputa «all’ex sinistra» un fastidio nei confronti delle pratiche di disobbedienza civile giustificato agitando lo spettro «dei facinorosi».

Invece di aprirsi al nuovo, e a istanze di rinnovamento della sinistra sul piano etico e programmatico, si deride e si accusa di sterile radicalismo chi sta dalla parte della giustizia sociale e dell’ambiente. Le mort saisit le vif! (avrebbe detto il vecchio Marx). Eppure, per rendersi conto che i riformisti dovrebbero stare dalla parte di chi richiede cambiamenti concreti e incisivi sul piano delle politiche ambientali, invece di chi nega il problema (come fanno anche molti che da giovani sono stati ambientalisti e di sinistra), basterebbe leggere un altro libro pubblicato di recente. L’autore è un economista accademico che insegna all’università Cattolica di Milano, che per stile e metodo è ben lontano da Goffredo Fofi.

Ne L’illusione liberista. Critica dell’ideologia di mercato (Laterza, Bari 2021), Andrea Boitani mostra in maniera persuasiva quali sono i limiti intellettuali delle politiche neoliberali (che hanno trovato larga attuazione anche in Italia, nonostante quel che alcuni vorrebbero far credere) e perché esse sono responsabili in maniera significativa di alcuni dei mali sociali che turbano le coscienze dei millennials in Usa e in Uk.

Nel libro di Boitani un intero capitolo è dedicato alla confutazione di argomenti usati quotidianamente per negare che ci sia un’emergenza climatica che richiede un’inversione di rotta politica. Non sono le idee che mancano, ma la volontà politica. Azioni come quelle di Ultima generazione richiamano la sinistra parlamentare alle proprie responsabilità. Saranno i partiti all’altezza della sfida?

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