La Costituzione italiana, lungi dall’ispirarsi a un’assoluta neutralità sul piano assiologico, contiene, come molte carte fondamentali del secondo dopoguerra, un deposito di princìpi che il legislatore e i poteri pubblici sono chiamati a rispettare e attuare. Tra essi un posto particolare spetta a quello cosiddetto pacifista, proclamato dall’articolo 11 con il ripudio della guerra «come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali» e con l’apertura, «in condizioni di parità con gli altri stati, alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni».

Con il principio pacifista deve, dunque, misurarsi il sostegno italiano alla resistenza ucraina, tema oggetto di questo intervento. Ma è opportuno ricordare alcuni passaggi attraverso i quali è stato deciso tale sostegno.

Guerra di legittima difesa

Determinante è stata la scelta governativa di sostenere l’Ucraina, oltre che con aiuti umanitari, attraverso sanzioni economiche alla Russia e, per ciò che più qui interessa, la cessione gratuita di armi all’esercito ucraino. In particolare, il decreto-legge numero 16 del 2022 stabilisce che, «fino al 31 dicembre 2022, previo atto di indirizzo delle Camere, è autorizzata la cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell’Ucraina».

Nell’ambito di tale procedura ogni Camera ha approvato, a marzo, un’identica risoluzione che autorizza «la cessione di apparati e strumenti militari che consentano all’Ucraina di esercitare il diritto alla legittima difesa e di proteggere la sua popolazione». Il ministro della Difesa ha, poi, adottato una serie di decreti per autorizzare, «a titolo non oneroso per la parte ricevente», la cessione dei mezzi militari. Il relativo elenco non è pubblico, in quanto fondato su documenti “classificati” dello stato maggiore della difesa.  

Come si concilia questo sostegno con il rispetto del principio pacifista? In proposito, va ricordato che la stessa Carta fondamentale afferma che «la difesa della patria è sacro dovere del cittadino» (articolo 52) e regola le procedure per lo stato di guerra, affidando alle Camere la sua delibera (articolo 78) e al capo dello stato la sua dichiarazione (articolo 87).  

Da queste norme si può concludere che la Costituzione, pur accogliendo il principio pacifista, garantisce la guerra di legittima difesa, qua fit ut maneat hic civitas. Come sintetizzato in costituente da Leo Valiani, «noi siamo incondizionatamente, e non soltanto in riferimento a una certa interpretazione politica, per la rinunzia alla guerra»: dunque, «se ci attaccheranno ci difenderemo, ma noi abbiamo il fermo proposito di non attaccare mai nessun altro popolo, sia esso un popolo retto con ordinamenti liberali o con altri ordinamenti».

Il problema è, dunque, legato al concetto di legittima difesa. Si tratta della sola risposta ad attacchi al territorio italiano? È noto che sin dal secondo dopoguerra il concetto di legittima difesa è invece stato interpretato in senso estensivo. L’articolo 11 è stato letto in senso analogo all’articolo 5 del titolo XIII della Costituzione girondina, secondo il quale «la République française ne prend les armes que pour maintien de sa liberté, la conservation de son territoire et la défense de ses alliés». Una diversa interpretazione avrebbe precluso la partecipazione italiana anche alla Nato, lasciando il nostro paese isolato nella difesa dei confini.

I limiti del sostegno

In questo quadro costituzionale, come valutare allora il sostegno alla resistenza militare ucraina e, soprattutto, quali sono i limiti di tale sostegno? Per rispondere a tale questione, sono necessarie alcune precisazioni. Va ricordato, anzitutto, che la Corte internazionale di giustizia (caso Nicaragua-Usa) ha ritenuto che la fornitura di armi non costituisce aggressione armata nei confronti di uno stato.  

È vero che con le misure prese l’Italia è venuta meno a una neutralità assoluta dinanzi al conflitto. Ma già prima dell’entrata in vigore della Costituzione, tra la neutralità e la belligeranza è stato individuato uno spazio intermedio. Ad esempio, in uno dei classici del diritto internazionale, il trattato di Lauterpacht, del 1944, si legge che «the ending of neutrality must not be confounded with mere violation of neutrality», aggiungendosi che «even in an extreme case, in which the violation of neutrality is so great that the offender party considers war the only adequate measure in answer to it, it is not the violation which brings neutrality to an end, but the determination of the offended party».

Questa ricostruzione ha trovato sempre maggiore spazio nella dottrina internazionalistica fino ai nostri giorni e potrebbe ritenersi, oltretutto, accettata dalla Russia. Essa, pur consapevole del supporto europeo alla Ucraina, ha fatto presente che non avrebbe tollerato però alcune azioni, come la creazione di una no-fly zone, così tracciando una linea rossa al di là della quale, si potrebbe pensare riprendendo Lauterpacht, il superamento della neutralità sarebbe stato considerato meritevole, da parte russa, di un coinvolgimento nel conflitto.

Inoltre, quanto alla posizione dell’Ucraina è opportuno ricordare che sin dal diritto romano la legittima difesa è stata considerata connessa alla natura: nei Digesta di Giustiniano  si legge non solo il noto “vim vi repellere licet”, ma anche il fatto che Cassio riporta tale diritto alla “natura” (D. 43.16.1.27). Se, dunque, l’autodifesa trova il suo fondamento ultimo nella stessa natura ed è lecita quanto al suolo italiano per la nostra Costituzione, ciò che è lecito agli italiani per il suolo italiano va ovviamente considerato lecito, anche nella prospettiva della nostra Costituzione, in relazione al suolo ucraino per gli ucraini. 

Controllo democratico

Dunque, la vera domanda da porsi, sul piano giuridico, sembrerebbe più che sulla liceità delle forniture di materiale militare all’Ucraina, sull’uso che viene fatto di tali armi. In sostanza, se esse sono indispensabili a respingere un ingiusto attacco e creare le condizioni per la pace, possono essere inviate. Se, invece, gli obiettivi fossero diversi (ad esempio, contribuire alla caduta del regime di Putin) o mancassero le condizioni per assicurare tale uso limitato, la conclusione sarebbe opposta. 

Proprio per tale ragione è fondamentale un controllo democratico sul perseguimento di tali fini. Il che richiede un più significativo coinvolgimento, da un lato, del presidente della Repubblica, anche nella sua funzione di capo delle forze armate; e, dall’altro, delle competenti Commissioni parlamentari.

Infine, va ribadito che le considerazioni svolte riguardano il piano giuridico, ma non escludono gravi preoccupazioni per le prospettive future.

L’ipotesi della creazione di una forza militare dell’Unione europea è positiva, giacché rende ancora più difficile una guerra tra gli stati membri; essa, tuttavia, richiede precise garanzie su molteplici aspetti, a partire dalla compatibilità con l’articolo 11 della Costituzione delle missioni che verranno intraprese da tale forza. 

Molto preoccupanti appaiono, poi, le dichiarazioni di diversi stati su un prossimo aumento delle spese militari finalizzato al riarmo, che sembra obiettivo anche delle nostre forze politiche. E suscitano inquietudine le tendenze che si affermano nel mondo della cultura, a partire dal settore delle telecomunicazioni, segnato da forme di spettacolarizzazione della violenza bellica.

Al contrario, quanto detto non toglie che sul piano dell’opportunità politica si debba incessantemente discutere sulla via migliore per ripristinare la legalità violata e garantire la pace, ricordando da un lato che, come ha evidenziato di recente Ruggeri, essa è «bene assoluto indisponibile», in quanto alla base della nostra convivenza civile; e, dall’altro, la lezione di Giorgio La Pira, secondo il quale, nell’epoca delle armi nucleari, «la pace (e perciò l’unità) fra i popoli di tutta la terra è, malgrado tutto, inevitabile».


L’articolo del Prof. Vari è ripreso dal suo intervento dello scorso 7 luglio durante il Webinar sulla “Guerra in Ucraina” organizzato dal CdS in Giurisprudenza dell’UER. Il ciclo di incontri riprenderà a settembre con un Webinar su “La riforma del processo tributario”.

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