Il nuovo numero di Scenari, la pubblicazione geopolitica di Domani, di questa settimana è dedicato alle terre di mezzo, paesi al centro di una sfida di influenze. In venti pagine, gli approfondimenti inediti firmati da Andrea Carteny, Matteo Pugliese, Daniele Stasi, Francesco Stuffer e altri ricercatori e studiosi analizzano il ruolo dei Balcani nell’attuale crisi, la posizione di Serbia, Bosnia-Erzegovina, Polonia, Ungheria e non solo. La guerra in Ucraina ha rinsaldato alleanze e creato nuove linee di frattura nell’antica polveriera d’Europa.

Le mappe curate dai cartografi Bernardo Mannucci, Daniele Dapiaggi e Luca Mazzali (faseduestudio/Appears) aiutano a capire le storiche divisioni e rivalità tra le molte etnie balcaniche e il tentativo di controllo di questi territori da parte delle grandi potenze. Le carte forniscono una panoramica completa dell’avanzata delle truppe russe in Ucraina dall’inizio dell’invasione e i milioni di dollari di aiuti militari destinati all’esercito di resistenza da parte degli stati europei.

Cosa c’è nel nuovo numero

Lo storico Andrea Carteny definisce l’interesse russo per i Balcani strutturale e spiega i recenti legami che uniscono il governo di Vladimir Putin all’Ungheria di Viktor Orbán e alla Serbia di Aleksander Vučić. La Serbia «ancora più pro-Russia» vede nel Cremlino «l’alleato perfetto e affidabile in grado di tutelare gli interessi nazionali serbi e la questione del Kosovo». 

Uno stato che, come spiega l’analista Matteo Pugliese, con la Bosnia, costituisce uno dei principali campi di sfida della Russia nell’area. Territori in cui si concentrano tentativi di influenza da parte della Nato e della Russia, determinando una perenne precarietà e rallentando così l’«accidentato percorso verso l’integrazione europea». 

L’Unione europea non è infatti riuscita ad avviare un processo di de-escalation nell’area e ciò è evidente nello scenario bosniaco, ancora minacciato da spinte centrifughe serbe e rivendicazioni nazionali croate. Francesco Stuffer, ricercatore, mostra come l’agenda separatista di Milorad Dodik, membro della presidenza tripartita di Bosnia-Erzegovina in quota serba, abbia contribuito a un’ulteriore instabilità, tanto da portare a pensare che la guerra in Ucraina possa scatenare un effetto domino su una delle regioni più frammentate del continente. Stuffer passa in rassegna le diverse reazioni dei paesi dell’area alla decisione russa di invadere il paese confinante: dalla condanna netta all’appoggio incondizionato a Mosca.

Tra i principali paesi sostenitori di Kiev, la Polonia: il politologo Daniele Stasi sottolinea che l’analisi geopolitica si concentra sulle questioni strategiche e omette i fattori storici e ideologici. La radice della solidarietà di Varsavia verso Kiev è nella coscienza di un popolo stretto fra l’Orso russo e l’Aquila tedesca, un’“Europa di mezzo” in cui la Polonia ha intenti egemonici.

Il sostegno europeo alla resistenza del paese invaso porta con sé un dilemma: fino a che punto si estende il diritto di armare l’Ucraina? L’analisi del giurista Filippo Vari aiuta a capire come la Costituzione italiana ripudi la guerra ma contempli la legittima difesa. «La vera domanda da porsi, sul piano giuridico, sembrerebbe più che sulla liceità delle forniture di materiale militare all’Ucraina, sull’uso che viene fatto di tali armi», scrive Vari, sottolineando l’importanza di un controllo democratico.

La resistenza dell’Ucraina contro l’invasore russo dimostra poi l’efficacia, anche militare, dei sistemi inquadrati nell’ambito della democrazia liberale. Un estratto del volume L’invasione russa e la resistenza dell’Ucraina, scritto da Filippo Andreatta ed Enrico Letta – pubblicato per la collana Arel Le Conversazioni (2022) – analizza i molteplici motivi che «potrebbero giustificare questa sorprendente capacità delle democrazie di essere efficaci in battaglia». Ma, spiega Andreatta, una volta che le democrazie intervengono in una guerra «fanno fatica a fermarsi, a tornare indietro e a trovare dei compromessi».

Guido Rampoldi inoltre va a fondo di un principio nobile e democratico, quello dell’autodeterminazione dei popoli, principio usato però strumentalmente da Putin per invadere il paese confinante e difendere i diritti dei russofoni. In Ucraina, spiega Rampoldi, è in gioco l’inviolabilità dei confini e il rispetto dell’integrità territoriale degli stati. 

Altri scenari

Le grandi potenze negli ultimi dieci anni hanno alimentato la crisi anche in un’altra regione: il Sahel, territorio in cui «stanno andando in scena le intrecciate dinamiche del jihad globale e della guerra globale al terrore», come evidenzia il ricercatore Edoardo Baldaro. L’articolo del ricercatore – basato su una rielaborazione degli interventi contenuti nel volume Jihad in Africa. Terrorismo e Controterrorismo in Sahel (Il Mulino, 2022) edito da Baldaro e Luca Raineri – porta l’attenzione sul perché del successo dei gruppi jihadisti, da ricercare nella “ferocia” degli stati locali.

In assenza dell’ombrello statunitense a garanzia dell’equilibrio tra l’Arabia Saudita e l’Iran, tra i due paesi si apre il confronto per l’egemonia regionale, tra politiche di sicurezza e posizioni strumentali sul ruolo di guida del mondo islamico. Lorenzo Zacchi, ricercatore, analizza i rapporti tra Riad e Teheran, in cui il principale elemento che influenza la competizione «è di carattere securitario»: si tratta di stati che cercano di acquisire un potere sempre maggiore «per accrescere la propria sicurezza», spiega Zacchi. 

Infine, l’analista Pietro Baldelli mostra come in medio oriente l’identità sia spesso interpretata come motore degli scontri, rafforzando lo schema di Huntington. Ma alcuni esempi recenti, come gli Accordi di Abramo, dimostrano che «l’identità può rappresentare un ingrediente utile alla causa della pace».

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