Il 31 agosto prenderà il largo quella che gli organizzatori definiscono «la più grande missione marittima civile mai tentata verso Gaza». La Global Sumud Flotilla partirà dalla Spagna, con un secondo concentramento fissato per il 4 settembre dalla Tunisia. La scala è inedita: «decine di imbarcazioni», una rete che coinvolge attivisti in 44 paesi, una campagna coordinata a terra e l’obiettivo dichiarato di forzare l’attenzione internazionale sul blocco e sull’accesso umanitario. I format, le date e le cifre sono stati annunciati pubblicamente nelle ultime settimane dagli organizzatori e ripresi da più testate.

«Questo progetto nasce a valle della Global March to Gaza: si è creata una rete internazionale competente e coesa. Abbiamo pensato a un’azione via mare con ordini di grandezza inediti anche per Israele», ci spiega Maria Elena Delia, membro dello Steering Committee e referente italiana della Global Sumud Flotilla. Delia chiarisce il perimetro organizzativo: la mobilitazione tiene insieme realtà della Freedom Flotilla (con singoli attivisti coinvolti) e piattaforme nazionali; tutti i partecipanti seguono due giorni di training «di resistenza non violenta, perché la cosa più difficile è non reagire». «Abbiamo ricevuto migliaia di richieste di adesione, da persone comuni e figure con alta visibilità», aggiunge.

L’elemento di novità che Delia conferma è la partenza dall’Italia: «Il 31 agosto salperanno barche da Barcellona e da un porto italiano del nord. Il 4 settembre partiranno altre imbarcazioni dalla Tunisia e da porti italiani del Sud», dice. È un’informazione che si affianca ai due corridoi principali già resi noti e che definisce il profilo logistico dell’operazione nel Mediterraneo centrale.

Delia descrive una navigazione «in convoglio, sulla rotta standard», con carichi «di diverse tonnellate di aiuti alimentari e farmacologici». L’impostazione è a più livelli: il primo è umanitario («nessuno pensa che i nostri carichi risolvano la crisi, vogliamo contribuire ad aprire un corridoio via mare e fare pressione perché i corridoi terrestri tornino operativi»); il secondo è politico, legato alla domanda di cessate il fuoco, di fine dell’assedio e dell’occupazione. «Se arriviamo a Gaza abbiamo vinto tutto. Se saremo intercettati, conteranno l’adesione, la copertura mediatica, il coinvolgimento di società civile che finora è rimasta neutrale: vediamo interessi nuovi, persone che non hanno mai seguito la Palestina».

Nella cornice pubblica, gli organizzatori parlano di «molte decine di barche» in due ondate (31 agosto e 4 settembre), con la presenza di attivisti da oltre 40 paesi e di figure note che sostengono la campagna. La partenza spagnola, quella italiana e il concentramento tunisino sono il cuore dell’architettura, con iniziative coordinate a terra nelle stesse date.
Il calendario recente spiega la scelta di «alzare il volume».

L’8-9 giugno la Madleen è stata intercettata in alto mare: a bordo c’erano dodici attivisti, tra cui Greta Thunberg; la nave è stata rimorchiata ad Ashdod e l’equipaggio detenuto prima della deportazione. Il 26–27 luglio è toccato alla Handala, fermata a circa 40 miglia nautiche da Gaza; anche in questo caso, fermo e rilasci/espulsioni nelle ore e nei giorni successivi. Gli organizzatori denunciano l’uso della forza e l’interruzione di aiuti; su entrambi gli episodi si sono innestate prese di posizione e iniziative legali in Europa.

Il riferimento storico resta la Mavi Marmara: il 31 maggio 2010 il boarding israeliano in alto mare si concluse con l’uccisione di dieci attivisti e una crisi diplomatica che incise a lungo sui rapporti con la Turchia. I dossier successivi restano la mappa del contenzioso: la Commissione d’inchiesta del Consiglio Onu per i diritti umani qualificò illegale il blocco e censurò l’uso della forza; il Rapporto Palmer (Onu, 2011) ritenne in astratto legittimo il blocco navale, criticando però la sproporzione della forza; la Commissione Turkel israeliana scagionò i militari.

È il solco giuridico in cui si muovono tutte le flottiglie successive. Il quadro normativo resta diviso tra diritto del mare (libertà di navigazione in alto mare) e diritto dei conflitti armati (possibilità di blocco a determinate condizioni), con un punto sensibile: la garanzia dell’accesso umanitario e il divieto di pratiche che privino i civili dei beni essenziali. Sulla carta, la legalità dell’intercettazione dipende dalla legalità del blocco e dalla proporzionalità dei mezzi; nella prassi, le intercettazioni in acque internazionali si sono ripetute negli anni. Delia non si fa illusioni: «Ci aspettiamo che saremo fermati e che Israele cercherà di bloccare l’avanzata. È uno scenario nuovo anche per loro: dovranno mettere in campo una risposta organizzata diversamente». Il moltiplicarsi dei punti di partenza costringerà la Marina israeliana a un dispositivo più ampio nel Mediterraneo orientale. «Il nostro compito è arrivare il più avanti possibile mantenendo la disciplina non violenta».

In controluce, resta l’emergenza umanitaria della Striscia: penuria di beni essenziali, sistemi sanitari collassati, fame. È il contesto che la Flotilla intende riportare al centro, con una prova di forza civile che misura il suo impatto non solo sulla rotta per Gaza ma nell’opinione pubblica globale.

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