Le decisioni internazionali non possono più essere dettate da una ristretta élite globale», ha affermato il portavoce dell’ambasciata cinese nel Regno Unito dopo la conclusione del summit del G7 in Cornovaglia. Pechino non ha usato la parola “cricca” ma ha rispolverato in qualche modo la vecchia accusa di imperialismo occidentale indirizzandola questa volta verso il G7. Un vertice concluso con un riferimento esplicito, nel comunicato finale, al rispetto dell’integrità di Taiwan, ai diritti umani in Cina, la fornitura di vaccini ai paesi poveri, e con l’annuncio di un vasto piano per le infrastrutture nei paesi in via di sviluppo, destinato a competere proprio con l’iniziativa cinese della nuova Via della seta.

Una reazione eccessiva da parte di Xi Jinping? Forse, perché il piano infrastrutturale, battezzato Build Back Better World, o B3W, promosso dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden non ha fornito molti dettagli su chi e come poi dovrà eseguire concretamente lo sviluppo dei piani e fornire gli ampi fondi necessari alla loro realizzazione. Se è vero che il messaggio di fondo del vertice del G7, che è stato il cappello politico introduttivo al successivo vertice militare sulla Nato a Bruxelles, potrebbe essere riassunto come “l’occidente è tornato”, poco si è detto su come gli obiettivi verranno realizzati. Forse il motivo di fondo dei sette leader delle maggiori democrazie del pianeta era mostrare la ritrovata unità nell’affrontare i problemi globali dopo la parentesi di Trump.

In ogni caso i leader del G7 hanno mostrato molta ambizione, ma hanno anche lasciato molti interrogativi su come alle parole seguiranno i fatti. Sui vaccini, ad esempio, l’Oms ha detto che serviranno 11 miliardi di dosi per fermare la pandemia: quante ne fornirà concretamente il G7? Nessuno lo sa. Il Montenegro, paese Nato, che ha un miliardo di euro di debiti con una banca cinese per la costruzione di una gigantesca autostrada, sarà aiutato dal G7 o finirà nelle mani del creditore asiatico rischiando di diventare una nuova Albania come ai tempi del dittatore filo cinese Enver Hoxha nell’Alleanza atlantica?

Inutile negare che dietro la facile retorica del gradito ritorno del G7 – formato delle sette più ricche democrazie del mondo che sfidano gli stati autocrati, dato che la storia non è finita con la Caduta del Muro di Berlino e le società aperte non hanno vinto come prevedeva troppo ottimisticamente Francis Fukuyama – restano molti dubbi sulla reale capacità di realizzare gli obiettivi annunciati, inclusi i vaccini, il clima e lo sforzo di creare un’infrastruttura internazionale per rivaleggiare con la Cina. Detto questo nessuno può contestare che il presidente americano Joe Biden, durante il vertice Nato a Bruxelles, nell’indicare con tono pacato, ma fermo ai 30 paesi membri le politiche di contenimento da adottare verso la Cina e Russia, abbia mostrato al mondo che il multilateralismo è ancora la forza decisiva per gli equilibri geopolitici. Il risultato di Biden è racchiuso nelle due foto di gruppo a conclusione del G7 e del vertice Nato, immagini di ritrovata unità verso i comuni rischi. Poi seguirà l’intendenza, cioè verrà il momento di definire i dettagli finanziari anche se non sarà cosa da poco.

Il vertice Nato

Messo nel cassetto lo sgradito ricordo del viaggio di Trump alla sede europea di Bruxelles dell’Alleanza atlantica nel 2017, dove l’inquilino della Casa Bianca battè cassa come un addetto al recupero crediti presso gli alleati, dando vita a una serie di sospetti e reciproche recriminazioni che fecero la gioia di Vladimir Putin e Xi Jinping, Biden ha ribadito l’importanza strategica dell’articolo 5 sulla difesa comune, definendolo «un obbligo sacro». Anzi estendendolo anche alla sfera della cybersecurity e di attacchi non convenzionali. Nel comunicato finale del vertice Nato si parla di risposte a nuovi attacchi portati da intelligenza artificiale, disinformazione, nuove tecnologie missilistiche. Insomma Biden ha messo nel cassetto la famosa frase del presidente francese Emmanuel Macron che aveva definito l’Alleanza atlantica come caduta in una sorte di “morte cerebrale”. Biden ha saputo congiungere e aggiornare la difesa militare dei valori della società aperta contro le minacce portate avanti dalle ideologie degli stati autocrati, cioè Cina e Russia. Nel far questo Biden, forse, ha peccato di eccesso di entusiasmo aprendo troppi fronti contemporaneamente e elencando troppe “linee rosse” invalicabili: la Cina sui diritti umani e lavoro forzato, la Russia sull’integrità dell’Ucraina, la Libia con la richiesta ad Erdogan e Putin della fine delle ostilità e del ritiro dei mercenari turchi e russi, e infine il ritiro dall’Afghanistan dopo 20 anni di permanenza delle forze dell’alleanza. Non a caso il quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung ha parlato di una Nato che deve restare un’istituzione transatlantica e che in Asia deve avere solo una funzione politica.

L’accordo Boeing-Airbus

In molti hanno notato che nel comunicato finale del G7 si è parlato di Global minimum tax per le multinazionali al 15 per cento e per quanto riguarda la Cina di difesa degli uiguri e delle libertà a Hong Kong, ma non di tutela dei diritti intellettuali o di dumping commerciale. È evidente che gli europei sono più cauti su questi temi nei confronti di Pechino. Ma la vera svolta tra Usa e Ue è l’accordo tra Boeing e Airbus che mette fine a un contenzioso che durava da ben 17 anni. Questo significa la fine della guerra dei dazi tra le due sponde dell’Atlantico e l’inizio in commissione della Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio, di una rinnovata volontà comune tra americani ed europei di riformare le regole del commercio globale e porre fine ad alcune esenzioni e vantaggi che la Cina ancora possiede perché considerata a Ginevra paese in via di sviluppo. Insomma un modo per dire a Pechino che nella Wto la festa cinese è finita.

 

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