La “città umanitaria” che il ministero della Difesa israeliano, Israel Katz, ha dato ordine di costruire nel sud di Rafah va chiamata per quello che è: un recinto a cielo aperto che sottopone la popolazione civile a un esodo forzato. Nel migliore dei casi – se realizzato – diventerà un campo profughi senza via di fuga per gli oltre seicentomila palestinesi che il governo vuole ammassare nell’area. A detta dei legali e accademici citati dal Guardian, il piano è un «inequivocabile crimine contro l’umanità».

Per entrarci i civili saranno sottoposti a screening biometrici, come già previsto nel piano fallimentare di distribuzione degli aiuti umanitari gestiti dalla Gaza humanitarian foundation che ha ucciso oltre 600 palestinesi e feriti altri 4mila.

Il piano arriva da lontano

Questo piano, che concentra la popolazione nel sud della Striscia al confine con l’Egitto, è stato pensato mesi fa. Le basi del progetto politico e militare sono state gettate nel maggio del 2024, quando l’esercito israeliano ha lanciato la sua offensiva militare che ha ridotto Rafah a un ammasso di macerie e sabbia. E con il terreno spianato, secondo il ministro Katz, la “città umanitaria” sarà costruita durante i sessanta giorni di cessate il fuoco una volta entrata in vigore la tregua con Hamas.

Non sono ancora chiari i dettagli su chi fornirà il sostegno umanitario alla popolazione civile, dopo le critiche della comunità internazionale sulla privatizzazione e militarizzazione degli aiuti da parte di Israele, lo stato ebraico sta cercando nuove vie.

Ciò che preoccupa, anche, è che il piano, così come annunciato da Katz, è in linea con l’idea trumpiana di far diventare Gaza la nuova Riviera del Medio Oriente deportando due milioni di civili e costruendo hotel di lusso e villeggiatura. Il progetto non è ancora stato abbandonato, nonostante l’Egitto ha lanciato una controproposta sostenuta dalla Lega araba e da diversi stati europei. Lo dimostrano le poche dichiarazioni rilasciate ai giornalisti da parte del premier Netanyahu durante la sua visita alla Casa Bianca (martedì 8 il nuovo incontro tra il premier e il presidente).

Gli Stati Uniti sono «vicini a trovare diversi paesi» che sarebbero disposti ad accogliere l’altra fetta della popolazione civile. «Penso che il presidente Trump abbia avuto una visione brillante. Si chiama libera scelta. Se le persone vogliono rimanere, possono rimanere; ma se vogliono andarsene, dovrebbero poterlo fare», ha detto Netanyahu. In una Gaza in cui il 90 per cento delle abitazioni è danneggiato o distrutto, e con la popolazione volutamente tenuta sotto la soglia della carestia, cercare sostegno umanitario, anche in un grande campo a cielo aperto da cui non si può più uscire, non è una scelta volontaria. Diventa una costrizione per migliaia di persone, soprattutto quelle più vulnerabili, come donne, anziani e bambini.

Mediazioni

«Non partecipiamo ufficialmente ai colloqui su questo piano. Abbiamo ascoltato dichiarazioni simili da altri funzionari israeliani in passato e abbiamo chiaramente espresso la nostra opposizione a qualsiasi trasferimento forzato di palestinesi o a qualsiasi trasferimento di palestinesi al di fuori del loro territorio», ha detto il portavoce del ministero degli Esteri del Qatar, Majed al-Ansari chiedendo il sostegno della comunità internazionale. A Doha per il terzo giorno di fila si sono tenuti i negoziati indiretti tra Israele e Qatar. Al centro delle trattative c’è proprio la questione umanitaria. Hamas, così come la comunità internazionale, chiede che gli aiuti vengano distribuiti nuovamente dalle Nazioni Unite attraverso i suoi 400 punti di distribuzione lungo tutta la Striscia, bypassando la Gaza humanitarian foundation.

Martedì 8 la Croce rossa internazionale ha avvertito che l’aumento delle vittime vicino ai siti di distribuzione ha travolto il sistema sanitario di Gaza, Nelle strutture gestite dall’organizzazione si sono registrate più di 200 uccisioni e 2.200 feriti, provenienti da oltre 21 eventi di vittime di massa.

Attraverso dichiarazioni anonime i mediatori stanno però riferendo di un clima «positivo» e probabilmente – salvo imprevisti – si riuscirà ad arrivare a un accordo sulla tregua nei prossimi giorni. A Doha arriverà nel fine settimana anche l’inviato statunitense per il Medio Oriente Steve Witkoff. La speranza di Trump è che la sua visita sancisca le strette di mano finali. Ma per quello, forse, ci vorrà ancora del tempo. Il portavoce qatariota al Ansari ha spiegato che attualmente «le due delegazioni non stanno ancora negoziando direttamente. Piuttosto, stiamo tenendo colloqui separati con ciascuna parte per definire un quadro negoziale per i colloqui. Pertanto, i negoziati non sono ancora iniziati, ma stiamo lavorando con entrambe le parti per definire tale quadro». Al Ansari ha detto di non poter stabilire una tempistica, ma sicuramente ci vorrà del tempo. Trump ha fretta, Israele e Hamas ancora no. E nella Striscia martedì 8 sono stati uccisi più di 78 palestinesi da parte dell’Idf.

© Riproduzione riservata