Nel bel mezzo delle trattative per raggiungere il cessate il fuoco a Gaza c’è chi all’interno del governo israeliano punta all’annessione della Cisgiordania. Lo ha detto senza mezzi termini il ministro della Giustizia, Yariv Levin, durante un incontro con il leader dei coloni Yossi Dagan. «Penso che questo periodo, al di là delle questioni attuali, sia un momento di opportunità storica che non dobbiamo perdere. È giunto il momento di applicare la sovranità. La mia posizione su questo tema è ferma e chiara», ha detto l’esponente del Likud. «Penso che sia realistico e possibile. Ed è essenziale, prima di tutto, realizzare il nostro diritto alla terra», ha aggiunto.

Il pensiero di Levin è condiviso anche da altri ministri, soprattutto quelli legati all’estrema destra israeliana come Ben Gvir e Smotrich.

Fin dal 7 ottobre la Cisgiordania è stata al centro di violenti attacchi per opera dei coloni e di diverse operazioni militari condotte dall’esercito israeliano che hanno causato oltre 870 uccisioni e 7mila feriti. Resta da capire se una volta raggiunta la tregua a Gaza, i territori occupati saranno al centro della prossima campagna militare dello stato ebraico.

Trattative

Per il momento, a Gaza, continuano i raid aerei dell’aviazione israeliana e le incursioni sul terreno. Dall’alba al pomeriggio sono stati uccisi 67 palestinesi, in serata l’Idf ha colpito un edificio residenziale nella parte meridionale di Gaza City che ospitava alcuni sfollati, aumentando il bilancio di altre 17 vittime.

In venti mesi sono morte oltre 57mila persone, ma secondo riviste scientifiche si tratterebbero di stime al ribasso. Tra le persone uccise nelle ultime ore c’è anche il dottor Marwan Sultan, direttore dell’ospedale indonesiano della Striscia. Mediatori, diplomatici e leader internazionali premono per un cessate il fuoco il prima possibile. Anche una parte del governo israeliano sembrerebbe propenso a chiudere un accordo con Hamas.

Lo ha confermato il ministro degli Esteri Gideon Sa’ar: «Un’ampia maggioranza all’interno del governo e della popolazione è favorevole al piano per liberare gli ostaggi. Se si presenta l'opportunità, non bisogna perderla», ha scritto su X sottolineando successivamente che ci sono segnali positivi.

E in mattinata, infatti, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha annunciato che le autorità di Tel Aviv hanno «accettato le condizioni necessarie» per un cessate il fuoco temporaneo. «I miei rappresentanti hanno avuto un colloquio lungo e produttivo con gli israeliani su Gaza: Israele ha accettato le condizioni necessarie per finalizzare un cessate il fuoco di 60 giorni, durante i quali lavoreremo con tutte le parti per mettere fine alla guerra», ha scritto Trump, che il 7 luglio incontrerà a Washington Benjamin Netanyahu.

La nuova bozza di accordo accettata da Tel Aviv è stata varata con il Qatar, uno dei mediatori principali. Questa prevede il rilascio di otto ostaggi il primo giorno di tregua, seguito dalla liberazione di altri due ostaggi prima del termine del cessate il fuoco. Nell’arco dei 60 giorni previsti, si svolgeranno i colloqui per porre fine alla guerra e gettare le basi per il futuro di Gaza.

Per il momento rimane un incognita la ricostruzione dopo la proposta di Trump di far diventare la Striscia la nuova Riviera del Medio Oriente, respinta categoricamente dai paesi arabi, rimane in piedi il progetto egiziano sostenuto, tra gli altri, anche da diversi paesi europei tra cui l’Italia.

Incognite

Resta da capire come si muoverà l’ala più intransigente del governo di Benjamin Netanyahu formata dal ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir e dal ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich. Entrambi finora sono sempre stati contrari a raggiungere un accordo con Hamas, soprattutto Ben Gvir che si era dimesso in segno di protesta dopo il raggiungimento della prima tregua lo scorso gennaio. E infatti, secondo i giornali israeliani si sarebbe già messo in moto per formare un blocco unito all’interno dell’esecutivo contro un possibile accordo di tregua. L’altra incognita per il raggiungimento di un’intesa è la risposta di Hamas che finora non ha accolto le condizioni sul tavolo proposte da Israele e dall’inviato di Trump per il Medio Oriente, Steve Witkoff.

Per il momento Hamas ha fatto sapere che «i fratelli mediatori stanno compiendo sforzi vigorosi per colmare le lacune tra le parti e raggiungere un accordo quadro che consentirà l’avvio di un serio ciclo di negoziati». Nella dichiarazione rilasciata ieri, il gruppo ha specificato: «Stiamo trattando la situazione con grande responsabilità e stiamo tenendo consultazioni nazionali e discutendo le proposte che ci sono state inoltrate con l’obiettivo di raggiungere un accordo che garantisca la fine dell’aggressione, il ritiro delle forze e la fornitura di aiuti umanitari di emergenza alla nostra popolazione nella Striscia di Gaza».

L’organizzazione palestinese ha aggiunto di essere disposta a liberare i restanti 50 ostaggi, meno della metà – secondo i servizi di sicurezza israeliani – sarebbero ancora in vita. Ma c’è un altro fronte che preoccupa Hamas ed è quello interno. Ieri il gruppo ha dato dieci giorni di tempo a Yasser Abu Shabab, capo islamista del clan armato da Israele, di consegnarsi. Negli ultimi mesi i miliziani guidati da Abu Shabab hanno saccheggiato gli aiuti umanitari per aumentare il loro controllo nella Striscia e contrastare il potere di Hamas.

© Riproduzione riservata