Dal ritiro delle truppe israeliane da Gaza ai prigionieri palestinesi da liberare. Quali sono le questioni su cui si continua a trattare. Mentre le parti mediano in Qatar, il premier israeliano Benjamin Netanyahu è a Washington da Donald Trump
Dopo che a marzo lo stato ebraico aveva interrotto unilateralmente la tregua entrata in vigore il 19 gennaio, lanciando una massiccia operazione militare nella Striscia, Israele e Hamas sono tornati al tavolo dei negoziati per raggiungere un cessate il fuoco a Gaza e la liberazione degli ostaggi. Dei 251 ostaggi sequestrati dai miliziani palestinesi durante l’attacco del 7 ottobre 2023, 49 sono ancora detenuti a Gaza, inclusi 27 che l’Idf considera siano deceduti durante questi quasi 21 mesi di guerra
Prima dell’operazione Rising Lions, con la quale sono stati attaccati i siti nucleari iraniani, le trattative tra le parti si erano arenate. L’inviato di Donald Trump per il Medio Oriente, Steve Witkoff, aveva allora accusato Hamas di non voler raggiungere la pace.
Ora una nuova bozza di accordo è stata varata soprattutto con l’aiuto del Qatar, uno dei mediatori principali, che proprio a Doha ospita anche una parte della leadership di Hamas. Ma cosa prevede il nuovo documento?
I punti chiave
La proposta presentata nei giorni scorsi prevede un cessate il fuoco della durata di 60 giorni. Lo scambio degli ostaggi e dei prigionieri nelle carceri israeliane a partire dal primo giorno. Hamas dovrebbe liberare 10 ostaggi vivi e i corpi di altri 18, in cambio di un numero imprecisato di detenuti palestinesi.
Il ritiro parziale delle truppe dell’Idf dalla Striscia, dove attualmente controllano circa il 65 per cento del territorio mentre l’80 per cento è distrutto o sottoposto a ordini di evacuazione forzati. Far entrare un maggior numero di aiuti umanitari nella Striscia, anche con il coordinamento delle Nazioni unite e della Mezzaluna Rossa palestinese. Quest’ultima richiesta viene anche dalla comunità internazionale dopo che il nuovo piano umanitario varato da Israele e dagli Stati Uniti si è rivelato una trappola di morte per i civili. In oltre un mese di distribuzione dei pacchi alimentari tramite la Gaza humanitarian foundation, almeno 600 palestinesi sono stati uccisi e 4000 rimasti feriti sotto il fuoco delle truppe israeliane.
Durante i sessanta giorni di tregua, inoltre, si terranno ulteriori negoziati per giungere una soluzione permanente e mantenere una pace duratura nella Striscia. Come ultimo punto, l’accordo prevede che il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, si ponga come garante per il rispetto della tregua da parte di Israele.
I nodi da sciogliere
Diversi sono ancora i nodi da sciogliere. Il primo round di negoziati diretti che si è tenuto a Doha il 7 luglio si è concluso senza un nulla di fatto.
Tra i punti più controversi nella bozza d’accordo c'è quello che riguarda il ritiro delle truppe israeliane. Al momento l’Idf sarebbe intenzionato ridispiegherà le sue truppe nel nord della Striscia, nel corridoio di Netzarim e nel sud di Gaza. Ma Hamas non vuole che mantenga il controllo del corridoio di Filadelfia e di Morag. Le parti sono anche in disaccordo sui prigionieri palestinesi da rilasciare in cambio degli ostaggi, Israele non vorrebbe liberare i profili considerati più pericolosi.
Grande punto interrogativo anche sul futuro della Striscia e sulle sorti di Hamas. Che fine faranno i vertici dell’organizzazione? Chi avrà il controllo su Gaza? L’anno scorso l’Autorità nazionale palestinese ha attraversato un piccolo rimpasto e sta lavorando a una serie di riforme interne. Resta da capire se sia ancora ben accetta come organizzazione politica dai gazawi, visto che è considerata molto impopolare.
L’altra questione da sciogliere riguarda il fronte interno israeliano. Nonostante gran parte del governo Netanyahu è favorevole a un accordo, l’ala più estremista spinge per continuare la guerra. Tra questi c’è il ministro alla Sicurezza nazionale, Hitamar Ben Gvir, che già si era dimesso lo scorso gennaio in segno di protesta per la tregua raggiunta prima di rientrare nei ranghi dell’esecutivo. «Questo è un accordo che dà ad Hamas ciò che non è riuscita a ottenere in battaglia», ha detto Ben Gvir. «È pericoloso e nuoce alla sicurezza di Israele», ha aggiunto.
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