Il gruppo palestinese ha dato l’ok alla nuova bozza per una tregua di 60 giorni. Ben Gvir: «No ad un’intesa parziale». Dopo il milione di israeliani in piazza si prepara un nuovo sciopero. I gazawi: «Non ci faremo cacciare»
La corsa della diplomazia per evitare l’occupazione di Gaza City è iniziata. Con l’esercito israeliano in procinto di presentare il piano di evacuazione prima di addentrarsi nel centro della Striscia sono state rilanciate le trattative da parte dei due mediatori arabi: Egitto e Qatar.
Nella serata di domenica, mentre un milione di persone sono scese in piazza a Tel Aviv per chiedere la fine della guerra, è stata presentata ad Hamas una nuova proposta di accordo che sarebbe stata accettata senza emendamenti da parte del gruppo palestinese. A riferirlo è Al Jazeera, secondo cui la proposta di cessate il fuoco include il rilascio di dieci ostaggi israeliani vivi e di 18 deceduti, la consegna di aiuti a Gaza attraverso organizzazioni umanitarie, la Mezzaluna Rossa e le Nazioni unite, e un cessate il fuoco di 60 giorni. I negoziati per porre fine alla guerra saranno avviati in una fase successiva con l’inizio del cessate il fuoco.
Si tratta di un accordo simile alla bozza presentata dall’inviato Usa Steve Witkoff nelle settimane scorse, che però si era arenata sulla questione più importante: il ritiro delle truppe dell’Idf dalla Striscia di Gaza. «Abbiamo informato i mediatori della nostra approvazione della loro proposta, presentata ieri», ha detto la fonte. Secondo il canale qatariota Al Arabi, si tratta di una versione riveduta dell’ultima risposta di Hamas nel ciclo di negoziati, che riguardava un accordo quadro per un cessate il fuoco di 60 giorni. La proposta è un compromesso tra un cessate il fuoco completo, ovvero la fine della guerra, e una tregua temporanea.
La risposta di Hamas è arrivata mentre il primo ministro del Qatar ha avuto colloqui al Cairo con il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi per discutere della questione.
Resta da capire quale sarà la risposta israeliana, visto che l’Idf non sembra intenzionata ad abbandonare il piano per entrare a Gaza City. Una decisione che è stata criticata dalla comunità internazionale e dai famigliari degli ostaggi scesi in piazza domenica e che hanno indetto un altro sciopero nazionale per il 24 agosto.
«Hamas è sotto enorme pressione», si è limitato a dire il premier israeliano dopo la notizia. Immediata la reazione del ministro dell’ultradestra Itamar Ben Gvir che ha chiesto di non cedere: «Il governo ha una netta maggioranza e un'ampia rete di sicurezza per la restituzione degli ostaggi. Netanyahu, questo non è il momento di esitare, è il momento di fare le scelte giuste per la nazione e per la sicurezza».
Le voci dei gazawi
«Non vogliono salvare noi, ma i loro ostaggi: presi loro, il piano di radere al suolo Gaza può proseguire». «Sono stati coraggiosi, ma non possono influenzare le decisioni del loro governo». Dopo l’ennesima giornata sanguinosa nella Striscia e all’indomani del grande sciopero a Tel Aviv, indetto dagli ostaggi liberati e dall’associazione delle famiglie, questi sono i pensieri dei gazawi.
Ci sono 32 gradi nella Striscia, le macerie scottano sotto il sole rovente e non tira più neanche un filo di vento. La disperazione e la rassegnazione, dunque, stanno spegnendo anche gli animi più ottimisti. E così, quando le notizie della grande manifestazione in Israele hanno raggiunto ogni angolo, in pochi hanno commentato con favore. «La maggior parte delle persone – spiega Noor Shirzada – non crede che questo grande movimento di piazza possa cambiare la posizione del governo».
«Sappiamo che molti israeliani non sono d’accordo con le politiche del governo, ma le cose sono andate un po’ troppo avanti – dice Joussef Abu Maher, che prima del 7 ottobre faceva l’avvocato – e non c’è più molto margine. Ci vorrebbe uno movimento internazionale guidato dagli israeliani cui possano unirsi anche tutti gli altri paesi del mondo. Una sorta di invasione pacifica di Israele. Solo così, forse, il presidente e i suoi ministri razzisti potranno pensare di fermarsi».
La maggior parte della popolazione non crede più a una sola parola: né di Hamas, né degli americani, né dell’Onu o dell’Ue. Men che meno, ritiene che uno sciopero generale in Israele possa far cambiare il piano di invasione che durerà circa due mesi. Proprio per questo, ieri mattina a Gaza City i residenti hanno organizzato una loro manifestazione per far sapere all’Idf che non vogliono accettare il piano di evacuazione verso il sud. Il raduno è stato nel quartiere di Zeitoun, proprio dov’è prevista, nei prossimi giorni, un’espansione delle operazioni di terra. «Non ci faremo cacciare via, questa è la nostra città. Resistiamo perché è il nostro diritto e la comunità internazionale, se ancora vale qualcosa, deve garantire la nostra sopravvivenza», dicono i manifestanti. Eppure, fuori da Gaza City, nel nord e al sud il clima è diverso e molti altri gazawi, invece, stanno meditando di accettare proposte di ricollocazione.
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