Il clima a Tel Aviv è cambiato dopo l’ultimatum contenuto nella ultima telefonata di Biden a Netanyahu.

Il presidente americano ha realizzato che senza un cambio di rotta netto sulla fine delle ostilità e sul passaggio di aiuti umanitari nella Striscia potrebbe perdere le elezioni di novembre dopo i voti di protesta in Michigan, Minnesota e Wisconsin e che doveva bloccare sul nascere l’escalation dopo l’attacco al consolato iraniano a Damasco.

Così Biden ha stilato una serie di richieste che se non accettate da Netanyahu avrebbero cambiato i termini della loro alleanza.

Ma cosa è cambiato? Innanzitutto Israele ha licenziato due suoi ufficiali e ha ammesso di aver trovato «errori nel processo decisionale» per l’attacco agli operatori umanitari della World Central Kitchen che ha provocato sette morti.

Il segretario di Stato Antony Blinken ha ribadito che le vite dei civili hanno la priorità sulle operazioni militari. Poi il gabinetto di guerra israeliano ha approvato, tre ore dopo la telefonata di Biden, la riapertura del valico di Erez tra Israele e il nord della Striscia per la prima volta dagli attacchi di Hamas del 7 ottobre scorso. Una riapertura che serve a consentire più aiuti umanitari a Gaza.

Il governo di Tel Aviv ha inoltre approvato l'utilizzo del porto israeliano di Ashdod per contribuire a trasferire maggiori aiuti all'enclave.

Gli Usa, per ora, plaudono ai «passi annunciati dal governo israeliano su richiesta del presidente», tra cui «l'impegno ad aprire il porto di Ashdod per la consegna diretta di assistenza a Gaza, ad aprire il valico di Erez per una nuova rotta di assistenza per raggiungere il nord di Gaza e ad aumentare significativamente le consegne dalla Giordania direttamente a Gaza», e chiedono che ora siano «attuati pienamente e rapidamente», ha detto la portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale, Adrienne Watson. Frasi che lasciano trapelare qualche motivo di cautela da parte di Washington.

«Le azioni di Israele, con l'apertura del valico di Erez, sono sviluppi positivi ma il vero test sono i risultati ed ciò che vogliamo vedere nei prossimi giorni e settimane», ha aggiunto Blinken.

«Un dato importante sarà il numero di camion che entra a Gaza e se possono muoversi, specie a Gaza nord. Vogliamo vedere risolti i colli di bottiglia ed essere sicuri che i cooperanti, chi porta gli aiuti, possano lavorare in sicurezza». Parole che non lasciano dubbi sul fatto che Washington questa volta non firmerà cambiali in bianco.

Ambasciate chiuse

Sono circa 30, tra cui l’ambasciata di Roma, le missioni diplomatiche israeliane che sono state chiuse nel mondo nel timore di attacchi per le minacce iraniane in seguito al raid a Damasco, nel quale sono morti alti funzionari di Teheran.

Lo ha riferito il quotidiano Haaretz, che ha citato una fonte diplomatica. La tensione è alta e il premier Benjamin Netanyahu ha convocato giovedì in serata il Consiglio di sicurezza a Gerusalemme, al termine di una giornata densa di preoccupazione e allarmi.

«Sapremo difenderci e agiremo secondo il principio che faremo del male a chiunque ci farà del male o vorrà farci del male», ha avvertito il primo ministro. «Per anni - ha aggiunto - Teheran ha lavorato contro di noi sia direttamente sia attraverso i suoi emissari, e quindi Israele ha lavorato contro l'Iran e i suoi emissari, sia in modo difensivo che offensivo».

Una risposta di Teheran dopo il raid israeliano contro il consolato iraniano a Damasco è data per scontata da molti analisti e lo stesso apparato di difesa israeliano è convinto che avverrà.

«Ci aspettano giorni complessi, non è detto che il peggio sia dietro di noi», ha ammesso il capo dell'intelligence militare Aharon Aliva. «Ma siamo pronti per tutti gli scenari», ha precisato il portavoce dell'Idf Daniel Hagari, aggiungendo che «le forze sono ben schierate in formazioni difensive e offensive» con una «protezione su più livelli e aerei in cielo 24 ore su 24».

Haaretz segnala tre scenari di possibili rappresaglie: un attacco di droni o di missili da crociera direttamente dall'Iran diretti verso infrastrutture israeliane, l'ipotesi che pare meno probabile; intensi attacchi di missili dal Libano o dalla Siria attraverso gli Hezbollah e altre milizie sciite o ancora «attentati alle ambasciate israeliane». L’Iran non ha nessun interesse a far alzare la tensione e probabilmente risponderà ma in modo cauto.

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