Due fasi, sette zone in cui allestire alloggi temporanei nella Striscia ed evitare la deportazione dei palestinesi e cinque anni di ricostruzione con un costo stimato di 53 miliardi. Dopo un periodo di sei mesi in cui Gaza è governata da tecnocrati, la gestione passerà in mano all’Anp. Il piano è stato adottato dalla Lega Araba e ha il sostegno di oltre 57 paesi tra cui anche stati occidentali
È passato circa un mese da quando il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha annunciato il suo piano per il futuro di Gaza. Un progetto che non ha trovato alcuna sponda amica se non quella di Israele ed è stato duramente criticato da diversi stati occidentali e dai paesi del mondo arabo.
Il piano di Trump, in poche parole, prevedeva il passaggio di Gaza sotto il controllo statunitense, anche con le truppe se necessario, e la deportazione dei circa due milioni di palestinesi che vivono nella Striscia prima di iniziare il processo di ricostruzione e farla diventare la Riviera del Medio Oriente. «Elimineremo tutte le bombe e le armi, rimuoveremo le macerie e garantiremo lo sviluppo economico del territorio», aveva detto Trump prima di assicurare che il suo piano «piace a tutti».
In realtà, la reazione innescata dal presidente statunitense è stata quella di spingere gli altri stati a trovare una soluzione alternativa. E così, l’Egitto ha varato un proprio piano che ha presentato alla Lega Araba ricevendo la sua approvazione.
Un ulteriore step si è aggiunto il 7 marzo quando la proposta egiziana ha ottenuto anche il via libera dell’Organizzazione per la cooperazione islamica che conta ben 57 paesi membri. Infine, il piano piace anche a paesi occidentali come Italia, Francia, Germania e Regno Unito.
Cosa prevede il piano
Una bozza del piano è iniziata a circolare nei giorni scorsi su alcuni media arabi. Il piano riguarda la fase post bellica, quindi in cui c’è già un cessate il fuoco totale e sono stati rilasciati tutti gli ostaggi israeliani in mano ad Hamas.
Nella prima fase viene messa in sicurezza la popolazione civile che vive ancora nella Striscia: sono state identificate sette diverse aree dalle autorità egiziane nel quale verranno allestiti alloggi temporanei dove far confluire anche gli aiuti umanitari.
Nel frattempo il territorio verrà totalmente bonificato dalle mine e dagli ordigni inesplosi. Successivamente partirà la ricostruzione delle infrastrutture basilari, dalle cliniche alle reti di comunicazione passando per un porto commerciale e un aeroporto. La ricostruzione durerà cinque anni, fino al 2030 e avrà un costo stimato di 53 miliardi di dollari. L’Egitto sarà uno dei paesi che finanzierà par te del progetto insieme ai paesi arabi del Golfo. P er gestire i flussi di denaro sarà creato un apposito fondo finanziario internazionale.
Inoltre le forze di sicurezza di Egitto e Giordania dovrebbero addestrare le forze di polizia palestinesi per garantire la sicurezza futura della Striscia.
Il controllo politico di Gaza
Nei primi sei mesi da quando entrerà in vigore il piano, il controllo politico della Striscia sarà provvisoriamente nelle mani di un comitato composto da figure tecniche. Non è ancora chiaro come verranno nominati i membri e se si tratti di esperti internazionali o palestinesi.
In un secondo momento il controllo verrà ceduto all’Autorità nazionale palestinese (Anp) che nel frattempo dovrà aver concluso il suo processo interno di riforme chiesto dalla comunità internazionale. Quel che è certo è che Hamas, che dal 2007 gestisce Gaza, non avrà più il suo controllo.
«Lo stato palestinese è pronto ad assumersi le proprie responsabilità nella Striscia di Gaza», ha detto il presidente dell’Anp Abu Mazen, durante il summit della Lega Araba in cui è stato votato il piano.
Il sostegno internazionale
«Noi, ministri degli Esteri di Francia, Germania, Italia e Regno Unito, accogliamo con favore l'iniziativa araba di un piano di ripresa e ricostruzione per Gaza. Il piano indica un percorso realistico per la ricostruzione di Gaza e promette - se attuato - un miglioramento rapido e sostenibile delle catastrofiche condizioni di vita dei palestinesi che vivono a Gaza», si legge nella dichiarazione congiunta dei quattro paesi europei.
«Ribadiamo con chiarezza che Hamas non deve più governare Gaza né essere una minaccia per Israele. Sosteniamo esplicitamente il ruolo centrale dell'Autorità palestinese e l'attuazione del suo programma di riforme», prosegue il testo.
I ministri hanno lodato anche gli sforzi compiuti e «l'importante segnale che gli Stati arabi hanno inviato sviluppando congiuntamente questo piano di ripresa e ricostruzione». Da qui l’auspicio: «Ci impegniamo a lavorare a sostegno dell'iniziativa araba, dei palestinesi e di Israele per affrontare insieme tali questioni, incluse la sicurezza e la governance. Esortiamo tutte le parti a lavorare partendo dai punti di merito del piano come punto di partenza».
Secondo uno degli editorialisti più conosciuti in Arabia Saudita, Abdulrahman Al-Rashed, la proposta egiziana è ancora da perfezionare, ma è una buona base da cui partire. «Non sono sicuro che il summit del Cairo sia riuscito a convincere la Casa Bianca, ma almeno abbiamo un piano. Questo è il punto: negoziare», ha detto ad Arab News.
Avere un piano arabo offre un’alternativa allo spazio che finora Trump si è preso pubblicamente. Il suo piano non piace ed è considerato molto pericoloso, al limite della pulizia etnica.
Le opposizioni
A esprimersi contro il piano è stato il governo israeliano tramite il suo ministro degli Esteri, Israel Katz, il quale ha criticato la governance futura della Striscia. Secondo lo stato ebraico l’Anp non è adatta a controllare politicamente la Striscia in quanto un’organizzazione corrotta e che negli anni ha tollerato il terrorismo.
L’amministrazione Trump, invece, per il momento punta sul suo progetto sia per evitare di piegare la testa a meno di un mese dal suo annuncio in pompa magna, sia per via delle richieste del suo alleato israeliano.
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