È la prima donna a ottenere l’incarico di presidente del Partito liberal-democratico (Pld), ma la sua nomina a prima ministra giapponese è incerta. La leader è nota per le sue posizioni tradizionaliste, mentre il paese per il Global gender gap report 2025 del World economic forum è al 118esimo posto su 146, il peggiore tra tutti quelli del G7
La “iron lady giapponese” Sanae Takaichi è la prima donna a ottenere l’incarico di presidente del Partito liberal-democratico (Pld) e c’è chi ha salutato l’evento come una svolta per un paese che registra sistematicamente risultati mediocri nei ranking internazionali sull’uguaglianza di genere. Fino a qualche giorno fa, la nomina sembrava poterle garantire un altro primato: quello di prima premier donna del Giappone.
Ma una crisi politica scatenata dal Komeito, partito della coalizione di governo e storico alleato del Pld all’esecutivo da circa 25 anni, ha fatto sprofondare il paese nell’incertezza, rendendo tutt’altro che scontata l’ascesa di Takaichi alla guida del governo. Il 21 ottobre si terrà il voto in parlamento.
In un paese dove le donne restano fortemente sottorappresentate in politica – al di là della potenza del simbolo – dietro l’incarico della conservatrice si nasconde una realtà più ambigua. Takaichi è ben nota per le sue posizioni tradizionaliste sui temi che si collegano all’autodeterminazione femminile e alle istanze Lgbtqia+. Per questo, se alcuni hanno visto nel suo successo un progresso in termini di rappresentanza femminile, per molte femministe aver cambiato il volto della leadership non basta.
I dati
Il Global gender gap report 2025 del World economic forum colloca il Giappone al 118esimo posto su 146 paesi per parità di genere. Peggio di tutti i paesi del G7: gli altri sono tutti entro la top 30 (eccetto l’Italia, che è 85esima). Il divario è più profondo nei settori della rappresentanza politica e dell’accesso ai ruoli di potere e dirigenziali: solo il 10 per cento dei deputati e meno dell’1 per cento degli amministratori delegati di grandi aziende sono donne, ricorda Business Standard.
A proposito della diseguaglianza nei ruoli apicali della politica, Sanae Takaichi si è sbilanciata con una coraggiosa promessa: ridurre l'ampio divario di genere e portare il numero di donne nel governo al livello dei paesi dell’Europa del nord, riconosciuti come i più socialmente progressisti.
«Non voglio nominare donne solo perché sono donne», ha dichiarato per rendere accettabili le sue parole agli occhi del suo stesso partito, «ma il piano è quello di scegliere molte più donne capaci e disposte a servire la nazione». Non è la prima volta che l’Pld tenta di intervenire su questioni simili lasciando intoccate quelle norme patriarcali che ostacolano la piena autodeterminazione femminile.
Il patriarcato economico
C’è chi sostiene che in Giappone regni una sorta di “patriarcato economico” che pesa sulla politica, sull’economia e sulla società. Anche perché sul lavoro le donne continuano a essere penalizzate da contratti precari e stipendi più bassi. La maternità è uno dei principali fattori di esclusione. In Giappone è chiamato “matahara” il fenomeno delle pressioni o dei licenziamenti mascherati nei confronti delle lavoratrici incinte, molto diffuso nonostante vi siano leggi che lo vietano.
«Fino a poco tempo fa, molte donne lasciavano il lavoro dopo il matrimonio o la gravidanza, e questo era considerato una virtù», si legge sul sito della no-profit Matahara.net, che si batte per «eliminare le molestie sul posto di lavoro causate da gravidanza, parto e cura dei bambini, nonché di fornire supporto alle vittime e creare una rete tra di esse».
«Questo antico sistema di valori tradizionali», spiegano, «è una delle ragioni per cui è emerso il matahara».
Per come sono configurati oggi i rapporti tra i generi, la cultura del lavoro giapponese rende quasi impossibile per le donne conciliare carriera e vita familiare. E se le politiche della “womenomics” lanciate negli anni di Shinzo Abe (ex primo ministro del Giappone, assassinato nel 2022, di cui Takaichi era considerata una protetta) promettevano di distribuire più potere economico alle donne, gli obiettivi sembrano essere stati puntualmente rinviati. Il piano prevedeva che entro il 2020 il 30 per cento delle posizioni dirigenziali pubbliche e private fosse occupato da donne: oggi la quota reale si ferma al 15 per cento.
Il ruolo di Takaichi
Al di là della promesse da neo-presidente del Pld, Takaichi ha spesso rappresentato un “ostacolo” alle cause femministe, ha detto al New York Times Mieko Nakabayashi, docente di scienze politiche all'Università Waseda di Tokyo. «Non mi pare abbia profonde convinzioni sulle questioni femminili», ha osservato, «i diritti delle donne non sembrano essere all'ordine del giorno».
Momoko Nojo, attivista per la parità di genere, è dello stesso avviso. «Takaichi si è sempre opposta a temi come l’opzione del secondo cognome per le coppie sposate e ai matrimoni tra persone dello stesso sesso, ossia le istanze che le donne tendono a supportare di più», ha detto ad Abc News. «Si è fatta un nome attraverso una resistenza più ferma di quella degli manifestata dagli uomini».
Nonostante le posizioni conservative di Takaichi, c’è chi confida almeno nel potere della rappresentazione: il suo successo può servire da simbolo e ispirazione per altre donne. Kathy Matsui, ex responsabile delle strategie per il Giappone di Goldman Sachs (cui si attribuisce la nascita del termine “womenomics”), ha detto al Financial Times che Takaichi stessa ne è la prova.
Era una giovane donna quando Margaret Thatcher divenne prima ministra del Regno Unito, nel 1979. Da allora, per lei è un’eroina di cui seguire le orme. «Non puoi essere ciò che non vedi», ha sottolineato Matsui. Anche se neppure Thatcher ha usato il potere ottenuto attraverso il successo politico per redistribuirlo tra le altre donne, la sua figura ha suscitato in Takaichi ambizioni di leadership che lei, a sua volta, potrà ispirare in altre giovani giapponesi – conservatrici e progressiste.
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