Le immagini dei miliziani trionfanti che consegnano i prigionieri israeliani ci mette davanti agli occhi il dibattito – irrisolto – intorno alla rivolta anti-moderna e agli strumenti di cui si deve dotare una società avanzata per costruire un vero diritto internazionale
Le immagini dei miliziani di Hamas tronfi e trionfanti mentre consegnano i primi ostaggi israeliani (primo destinatario l’Anp) sono solo le ultime di un quadro mediorientale che potrebbe chiudere il ciclo apertosi con la rivoluzione khomeinista del 1979. Fra i vari temi politici, il ridisegno di questa sensibilissima area di mondo pone dei temi interculturali, che terranno banco negli anni a venire.
Mi piace riassumerli con un aneddoto riportatomi dalla professoressa Claudia Mazzucato, tra coloro a cui si deve l’importazione dei principi di giustizia riparativa in Italia. Il convegno 2024 di questa importante pratica di giustizia si è svolto alle Hawaii. Seguendo una tendenza emersa negli ultimi anni, relatrici e relatori occidentali erano in netta minoranza, a testimoniare, tra l’altro, un’interessante crescita accademica di Paesi che, finalmente diremmo, stanno acquistando centralità nel dibattito culturale.
Simboli coloniali
Molte/i di queste relatrici/relatori si sono presentati alle proprie sessioni in abiti tradizionali, volendo con questo mostrare orgogliosamente le proprie tradizioni oppresse dal colonialismo occidentale. Una relatrice si è addirittura tolta le scarpe prima di iniziare il proprio intervento, in quanto simbolo coloniale. Si tratta di una reazione talmente radicata da aver già trovato una sua traduzione filosofica che, come si sa, arriva sul far della sera come la nottola di Minerva.
Autori legati alla Critical Race Theory, o alla galassia post e de coloniale da tempo sottolineano questa reazione identitaria, non mancando di scontrarsi con profonde contraddizioni, per cui la loro legittima aspirazione all'autodeterminazione finisce con l’assumere come modello tradizioni premoderne, che certo stridono con la tradizionale postura liberale alla base dei processi di emancipazione.
Dalle nostre parti, la contraddizione ha assunto valore mediatico col caso francese del comico Dieudonné, che mimava il saluto nazista durante i propri spettacoli proprio in chiave antisionista e antioccidentale. Caso di cui si sono poi occupate le autorità locali. Contraddizioni di cui sono perfettamente coscienti i maggiori esponenti di questi movimenti.
Anche qui abbiamo un esempio: la fondatrice del Partito degli Indigeni di Francia Houria Bouteldja ha aggirato l'ostacolo sostenendo che tutti gli elementi gerarchici e patriarcali sono stati esportati dalla logica capitalista funzionale al modello estrattivo e sfruttatore del colonialismo occidentale, proponendo come antidoto il ritorno ad una mitizzata purezza originaria. Mossa abile, che risente chiaramente di un principio di retroflessione dello sguardo, come direbbe il mio maestro Carlo Sini, con cui si finisce col proiettare sul passato una mentalità presente.
Emancipazioni rifiutate
Ma cosa accomuna autrici ed autori che si sono applicati a campi anche molto diversi? Il rifiuto unanime del modello di emancipazione occidentale. Ed anche qui abbiamo un ampio spettro che va dalle posizioni più particolariste a quelle che tentano di trovare nuove formule di conciliazione fra universale e particolare, come quella del grande autore musulmano senegalese Souleiman Bachir Diagne. Il problema non è l'interpretazione del fenomeno, che è espressa apertis verbis dai suoi principali rappresentanti, ma il modo in cui noi lo approcciamo.
Un vero dilemma per la coscienza occidentale, i cui principi libertari tengono insieme sia l’aspirazione all’emancipazione dei popoli oppressi, sia gli ideali egualitari che tradizioni pre-moderne ignorano. Paradosso della logica universalistica assunto con grande consapevolezza dall’opera di Etienne Balibar.
Il tema è come reagire a questa rivolta antiliberale. La risposta della destra, che ha nel trumpismo la sua manifestazione più vistosa, ma che possiamo scorgere anche nel nuovo “moderatismo” nostrano, è lo scontro di civiltà. Opzione impraticabile per una sinistra che non può disperdere un così grande potenziale di emancipazione sociale. Viene in mente un antico dibattito talmudico: a Gerico sacrificano i bambini al dio Moloch, che fare? Se faccio la guerra a Gerico mi muovo in una logica assimilazionista/imperialista che non rispetta le identità altrui, in caso contrario mi disinteresso della sorte dei bambini. Il dibattito, aperto secoli fa, non si è ancora concluso.
Che ne sarà del liberalismo
Piuttosto che andare alla ricerca del liberalismo in Cina, Iran o Africa, oppure di vaneggiare di speranza democratica nella Siria di al Jolani per tenere saldi i propri pregiudizi antisionisti, bisognerebbe assumere il dato che la fine dell’egemonia occidentale coincide con la messa in discussione del liberalismo moderno e mettersi a contrattare un vero diritto internazionale, che gli consenta di dotarsi di quegli strumenti coercitivi necessari per incidere non solo sul piano reputazionale. Di questo diritto avremmo un gran bisogno, ma c’è un prezzo da pagare per tutti.
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