Nelle scorse settimane gli esponenti della misteriosa organizzazione politica No Labels affermavano di essere in cerca di un «leader eccezionale» che avrebbe potuto concorrere per «vincere le elezioni presidenziali di novembre» con un «ticket unitario» composto da due moderati provenienti dalle fila dei maggiori partiti.

Alla fine, però, nessun esponente politico ha deciso di correre per la loro organizzazione. Il motivo è stato sintetizzato dalla dichiarazione rilasciata a fine marzo dall’ex governatore del New Jersey Chris Christie, un repubblicano noto per essere uno dei maggiori critici del trumpismo: «Non c’è alcuna possibilità di vittoria e non voglio in alcun modo contribuire a far tornare Donald Trump alla Casa Bianca».

Stessa argomentazione per un democratico contattato dall’organizzazione, il senatore del West Virginia Joe Manchin, che ha scelto di non ricandidarsi a novembre non soltanto per le sue scarse chance di vittoria in uno stato ultraconservatore, ma anche per la sua crescente distanza dal progressismo promosso dal presidente Joe Biden. Anche lui si è rifiutato di correre per loro, dopo lunghe riflessioni.

Vago centrismo

Anche in questo caso, l’ombra del tycoon ha giocato un ruolo. Si poteva pensare anche a uno dei membri di No Labels, l’ex governatore repubblicano del Maryland Larry Hogan, ma ha optato per una candidatura per il Senato sotto le insegne del suo partito d’appartenenza. Infine l’ex senatore del Connecticut Joe Lieberman, democratico moderato che nel 2008 decise di sostenere la candidatura di John McCain, è scomparso qualche giorno fa all’età di 82 anni.

C’era un problema ulteriore per convincere altri aspiranti candidati: la lista dei donatori di No Labels è mantenuta segreta per «proteggere la loro privacy», come si legge nel sito. Già, ma questo rendeva misteriose le intenzioni del gruppo. Secondo un vecchio adagio della politica americana «non si può battere qualcosa con niente».

E No Labels aveva ben poco da offrire, se non un vago centrismo. Così nel pomeriggio di giovedì, la fondatrice Nancy Jacobson ha diffuso un comunicato che annunciava la fine dello sforzo di reclutamento. Nella nota si leggeva che nonostante «gli americani siano più che mai aperti a un presidente indipendente e desiderosi di un leader nazionale unificante», l’organizzazione getta la spugna perché «non può offrire un ticket se non in presenza di una concreta chance di vittoria» che senza un leader adeguato non c’è. E quindi addio sogni di un inquilino “terzista” della Casa Bianca. In cassa restano sessanta milioni di dollari che presumibilmente andranno restituiti agli ignoti donatori.

Polarizzati

Gli ultimi tentativi però dimostrano che in realtà, l’opinione pubblica americana, pur scontenta dei due candidati maggiori, alla fine sceglierà uno di loro due oppure rimarrà a casa. Negli ultimi anni analoghi tentativi centristi non hanno avuto il successo sperato, a cominciare dall’ambizioso ticket del Partito Libertario nel 2016: formato da due ex governatori repubblicani moderati come Gary Johnson del New Mexico e Bill Weld del Massachusetts. Anche allora, l’impopolarità di Hillary Clinton e Donald Trump sembrava un motivo sufficiente per scegliere qualcos’altro. Risultato: 3,28% a livello nazionale, con una punta del 9,3% in New Mexico. Troppo poco, anche per la soglia del 5% grazie alla quale i partiti possono ricevere un finanziamento federale per le elezioni successive. Anche nel 2020 la candidatura dell’ex sindaco di New York Michael Bloomberg nelle fila dei dem con una piattaforma pragmatica e terzista non era andata bene, nonostante la cifra spesa fosse di ben 500 milioni di dollari. L’unica vittoria arrivò dal caucus democratico delle Samoa Americane, dove avevano votato solo 351 persone. E in nessuno stato Bloomberg ha superato la soglia del 15% con cui ottenere dei delegati. Un fiasco completo.

Anche un altro candidato indipendente come Robert Kennedy Junior, spinto da un’ampia copertura dovuta essenzialmente ai media conservatori che sperano di fargli sottrarre voti al ticket democratico ha molte difficoltà anche ad accedere alle schede elettorali dei vari stati. Al momento si sa che sarà sulla scheda in Utah, territorio saldamente nel colonnino repubblicano.

Il sistema bipartitico, dunque, nonostante proponga due candidati anziani e impopolari, gode tuttora di ottima salute. E il “qualcun altro” dei sondaggi che dovrebbe archiviarlo non si vede ancora all’orizzonte.

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