Dal 7 ottobre scorso il presidente americano Joe Biden sembra aver perso il consenso dei musulmani americani, una delle componenti cruciali che lo hanno portato alla vittoria alle presidenziali del 2020. E nonostante gli sforzi fatti dal suo entourage per riallacciare i rapporti, al momento non sembra che ci siano ricuciture rilevanti.

Lo prova il maldestro tentativo da parte della Casa Bianca di organizzare un pasto Iftar, la cena notturna che si tiene nei giorni del Ramadan, nella serata di martedì. Durante quell’evento Biden avrebbe voluto mostrato pubblicamente di essere ancora dalla parte dei cittadini di religione musulmana che in queste settimane hanno espresso frustrazione per la percepita ignavia di Biden rispetto alla guerra condotta da Israele contro Hamas nei territori della Striscia di Gaza.

Però i leader delle varie comunità hanno risposto con una raffica di cortesi rifiuti all’invito del presidente. Il motivo è stato sintetizzato rapidamente da Thaer Ahmad, un medico di origini palestinesi che ha visitato Gaza a gennaio: «Difficile parlare della carestia che sta colpendo la popolazione di Gaza davanti a una tavola imbandita».

La lettera

Nonostante Biden sia sempre più apertamente critico delle scelte di Netanyahu, finora non c’è ancora stata nessuna condizione imposta allo stato ebraico in cambio degli invii di armi che stanno avvenendo in queste settimane.

Il meeting si è presto trasformato in qualcos’altro: una cena ridotta con i membri dello staff presidenziale a cui è seguito un incontro breve con alcuni leader come il già citato dottor Ahmad.

Secondo il retroscena pubblicato dal New York Times, il medico avrebbe detto al presidente Biden che a Gaza sta avvenendo «un bagno di sangue e un massacro» e avrebbe consegnato al presidente una lettera scritta da una bambina di otto anni. Dopo Ahmad se ne sarebbe andato.

Voto di protesta

Non c’è però solo una cena andata male a preoccupare Joe Biden: anche se le primarie dem sono di fatto finite e non ci sono più avversari, il voto di protesta sta continuando ad andare avanti.

Il 2 aprile alle consultazioni interne del partito in Wisconsin, Rhode Island e Connecticut le manifestazioni di dissenso rappresentate dal voto “non allineato” hanno raggiunto percentuali significative: 14,9 per cento in Rhode Island, 11,4 per cento in Connecticut ed 8,3 per cento in Wisconsin.

In quest’ultimo stato nel 2020 il margine di vittoria era stato di circa ventimila voti. I suffragi di protesta sono stati 48mila, ed era proprio l’obiettivo degli organizzatori di questo voto dimostrare di essere decisivi a novembre.

Secondo gli strateghi della Casa Bianca, questo voto sarà ampiamente rientrato nei ranghi tra qualche mese e lo dimostra un trend positivo dei sondaggi per il presidente, che lo vede in recupero rispetto ai numeri del suo predecessore Donald Trump.

Alla conquista di voti

Il dato che però emerge è che nessuno dei due candidati può permettersi di perdere segmenti di votanti favorevoli dato che con tutta probabilità l’affluenza sarà minore rispetto al record di quattro anni fa, quando andò alle urne quasi il 70 per cento degli americani.

Al momento l’unico pezzo di elettorato dove Biden sembra farsi strada è quello di chi ha votato Nikki Haley alle primarie repubblicane, forse poco per allontanare la minaccia trumpiana.

Anzi, ormai i delegati “non allineati” sono circa 26 e potranno anche cercare di imporre delle condizioni alla convention democratica di Chicago, dove comunque ci saranno quasi sicuramente delle proteste, come in quasi ogni occasione pubblica dove il presidente si fa vedere in questi mesi.

Difficile che questi voti possano andare verso Donald Trump, che viene ancora ricordato come il presidente che ha imposto “l’embargo” sugli arrivi da sette paesi a maggioranza musulmana, ma anche qualora decidano di stare a casa, come avvenuto nella serata di martedì, potrebbero essere decisivi nel riportare il tycoon alla Casa Bianca, dove difficilmente però mancherà di sostenere un alleato come Benjamin Netanyahu.

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