Forse è stata una svista o forse un calcolato affondo, ma Carlo Calenda, leader di Azione, ha rilanciato il Mes, diventato l’ossessione della politica italiana dal 2018 in avanti e il fondo più odiato dal M5s per lo stigma dei mercati che il salva stati, come viene chiamato in gergo, si porta dietro dal salvataggio della Grecia, Portogallo, Irlanda, Cipro e Spagna.

«Ci sono 130 miliardi del Pnrr da spendere, in più abbiamo 33 miliardi del Mes sanitario». «Prima di promettere la luna, possiamo prendere 33 miliardi del Mes, i 14 che sono nel Pnrr per la sanità, e rimettere in piedi la sanità italiana? », ha detto il leader di Azione, Carlo Calenda, ospite a “Porta a porta”, il 22 settembre. «Non si può rinegoziare il Pnrr», ha aggiunto Calenda. «Di sanità non parla più nessuno».

Calenda ha solo anticipato un tormentone sugli adempimenti europei che piomberà sul tavolo del prossimo governo (qualunque esso sia), insieme alla revisione del Patto di stabilità e crescita (prevista a ottobre come annunciato nel discorso sullo stato dell’Unione dalla presidente Ursula von der Leyen) che oggi, prevede, se ripristinato, la folle riduzione annuale di un ventesimo del debito che eccede il 60 per cento del Pil.

Un altro incubo per i conti pubblici per qualsiasi esecutivo non in perfetta “sintonia” con i mercati. Dunque il Mes tornerà nel dibattito perché oltre ai prestiti si porta dietro dei vincoli stringenti per il governo richiedente, motivo per cui piace a pochi; ma potrebbe trasformarsi in un forte “vincolo esterno” per un governo in odore di scarso europeismo. E quindi piacere ai mercati.

I paesi europei finora non sono riusciti a trovare un candidato per il nuovo direttore esecutivo del Mes. A pochi giorni dalla scadenza del mandato dell’attuale direttore, il tedesco Klaus Regling, non c’è ancora un nome nuovo.

Il nuovo direttore del Mes

Il presidente dell’Eurogruppo, il ministro delle Finanze irlandese Paschal Donohoe, non ha nascosto la profonda delusione. Si sono presentati in quattro all’inizio delle danze. Oltre a Gramegna, anche l’olandese Mello Snell e l’italiano Marco Buti, funzionario europeo di lunga esperienza, già a capo della strategica direzione generale Economia e finanza della Commissione e oggi capo di gabinetto del commissario per l’Economia, Paolo Gentiloni. Prima si è ritirato Buti, poi Snell. Il governo Draghi allora si è irrigidito e ha posto un veto che ha paralizzato la scelta di un nuovo candidato.

Adesso, il nuovo governo italiano che uscirà dalle urne, si troverà di fronte alla decisione di contribuire a scegliere il sostituto di Regling. È probabile che si cercherà l’accordo all’Eurogruppo del 3 ottobre. Ma si deve ripartire da zero, con nuovi candidati e nuovi equilibri. Che farà il nuovo esecutivo italiano? Avrà in mente qualcosa o subirà le scelte altrui? E le alleanze con l’Ungheria di Orbàn e la Polonia sono inutili all’euro gruppo perché i due paesi non sono nell’euro.

Il Mes ha esteso i suoi compiti: all’assistenza dei debiti sovrani si aggiungono compiti per le crisi di liquidità delle banche. La riforma del Mes è però ferma per la mancata ratifica dell’accordo di Germania (con i consueti distinguo della Corte costituzionale che deve verificare se il diritto europeo non contrasta con la carta tedesca) e Italia (dove manca l’approvazione parlamentare).

Il monito della Bce

In questo contesto complesso di adempimenti europei non si può dimenticare il monito di Isabel Schnabel, membro tedesco del comitato esecutivo Bce, secondo cui in questo scenario di iper inflazione sulla crescita, l'Italia rischia di più per il suo alto debito, «sostenibile, se l’Italia cresce e per crescere deve usare bene il Recovery». «I progetti del Pnrr devono essere perseguiti con coerenza e implementati integralmente».

A buon intenditor poche parole. Altrimenti niente acquisti di bond italici e allora ricomincia la rumba dello spread. E il 23 la Commissione europea ha fatto trapelare che «sta finalizzando il suo parere positivo» sulla richiesta dell’Italia per la seconda rata da 21 miliardi prevista dal Pnrr, un tassello importante per la legge di Bilancio che va approvata entro il 31 dicembre 2022 se si vuole evitare l’esercizio provvisorio.

La Nadef

Poi va segnalata la mossa del ministro dell'Economia, Daniele Franco che ha rinviato le riunioni sulla Nota d'aggiornamento al Def (Nadef) al 27 settembre e che poi va inviata a Bruxelles. Scelta saggia per evitare nuove tensioni sui dati in arrivo.

Le stime della crescita italiana per il 2023 segnalano un calo del Pil fissandolo a solo lo 0,5 per cento, o  «abbondantemente sotto l’1 per cento», registrando quindi un forte rallentamento rispetto al 2022 e al 2,3 per cento previsto in aprile dal Def. L’Istat ha rivisto al rialzo le previsioni del Pil del 2021 portandole al 6,7 per cento confermando «il forte recupero dell'economia nel 2021, a fronte di un calo del 9,0 per cento nel 2020».

Non a caso il ministro dello Sviluppo, il leghista Giancarlo Giorgetti, non ha escluso un governo tecnico per la legge di Bilancio, che sarà un banco di prova dato che se dovesse vincere la coalizione di destra si amplierebbe la divaricazione interna come già avvenuto sullo scostamento di bilancio intimato a Draghi da Salvini, e bocciato dalla leader di FdI. 

Forse per questo che il Financial Times ha parlato di mettere in «un paio di mani sicure il ministero di Via Venti Settembre», aggiungendo che circolano nomi di Fabio Panetta, ex membro della Bce, Domenico Siniscalco, ex ministro delle Finanze e Daniele Franco, attuale ministro. Un segnale inequivocabile sulle incertezze che gravano sul nuovo esecutivo italiano.

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