Escono sconfitti dalle urne i partiti parte del governo uscente: gli ambientalisti di sinistra di Inuit Ataqatigiit hanno ottenuto il 21 per cento dei consensi e i socialdemocratici di Siumut hanno visto i loro consensi dimezzati, dal 29 al 15 per cento
Se anche il leader del partito vittorioso dichiara candidamente che non si aspettava un risultato simile, vuol dire che l’esito delle elezioni è stata una vera sorpresa. In Groenlandia ha vinto il partito di opposizione di centrodestra, che si definisce social-liberale, quello dei Democratici. «Non ci aspettavamo questo risultato, siamo molto felici», ha commentato tra sorrisi e stordimento il leader Jens-Frederik Nielsen, ex campione di badminton di 33 anni che per festeggiare ha imbracciato una chitarra e si è messo a suonare nel pub dove stava attendendo i risultati.
Con circa il 30 per cento, il suo partito è stato il più votato, triplicando il consenso rispetto al 9 per cento ottenuto nella tornata del 2021. Un boom a sorpresa, non era dato per favorito, e sul tema dell’indipendenza dalla Danimarca, nodo centrale del voto a cui quasi tutti i partiti aspirano, i Democratici sono considerati i più cauti, seppur favorevoli. Insomma, avanti adagio, con un approccio graduale.
Chi sale e chi scende
L’affluenza tra i poco più di 40mila potenziali elettori ha superato il 70 per cento. Ad arrivare secondo, anche qui con un certo grado di sorpresa, è stato l’altro partito di opposizione, Naleraq, con il 23 per cento. Forza nazionalista, i suoi esponenti vorrebbero invece un’indipendenza più immediata da Copenaghen, ma sono abbastanza aperti alla possibilità di stringere legami economici con gli Stati Uniti. Dettaglio che ha pesato non poco alle urne.
La voglia di cambiamento pare aver travolto la Groenlandia, perché a ottenere risultati deludenti sono stati i due partiti del governo uscente. A partire dagli ambientalisti rosso-verdi di Inuit Ataqatigiit, il movimento del premier Múte Egede: alla vigilia era dato tra i favoriti, ma è andato incontro a una netta sconfitta. Dal 36 per cento del 2021, è sceso al 21. Discorso simile per Siumut. I socialdemocratici infatti sono crollati, dimezzando i propri voti e fermandosi attorno al 15 per cento. Entrambi i partiti sembrano aver pagato sia l’incertezza su come raggiungere l’indipendenza sia lo stallo economico dell’isola.
Non solo indipendenza, ma questioni sociali
È vero, infatti, che la questione dell’indipendenza ha tenuto banco prima delle elezioni. Specie per via delle ripetute esternazioni aggressive di Donald Trump, che ha affermato di voler prendere il controllo dell’isola, in un modo o nell’altro. Ma la popolazione groenlandese ha scelto, votando in maggioranza per i Democratici, di mandare un messaggio alternativo: va bene l’indipendenza, ma non servono strappi, perché bisogna studiare bene il possibile addio alla Danimarca visti i problemi di natura finanziaria che ne potrebbero derivare.
Prima bisogna costruire delle «fondamenta solide» – termine usato da Nielsen – su cui poter costruire un paese indipendente. I Democratici sono un partito orientato alle imprese e allo sviluppo economico. È probabile, quindi, che si cambierà strategia, cercando di sfruttare i giacimenti minerari, tanto ambiti da Trump e non solo. E, poi, l’esigenza sentita da molti abitanti è quella di risolvere alcuni problemi sociali annosi per la Groenlandia su cui i Democratici hanno puntato, come migliorare l’assistenza sanitaria e l’istruzione.
Tuttavia, dalle urne, oltre che il desiderio di cambiamento, è emersa anche una certa polarizzazione sul tema indipendenza. Il secondo posto di Naleraq testimonia come una fetta consistente dei votanti voglia staccarsi da Copenaghen il prima possibile. E il consenso dei nazionalisti conferma anche che i groenlandesi desiderano soluzioni alternative sul tema economico.
Soluzioni che per Naleraq, attratto dalle sirene americane, potrebbero essere nuovi accordi con Washington. Legami commerciali, non certo intese per entrare a far parte degli Stati Uniti. Ora dipenderà con chi i Democratici si vorranno alleare, o con chi ci riusciranno. Il piccolo parlamento, Inatsisartut, composto da 31 seggi, ha bisogno di una nuova maggioranza.
Il quasi certo futuro primo ministro Nielsen ai media ha promesso di voler trattare con tutti. Parlerà con Naleraq, quindi, ma anche con le altre forze politiche. Magari per cercare di allargare la maggioranza. Non è escluso un coinvolgimento anche di uno dei due partiti del governo uscente. Serve unità, dice Nielsen.
A prescindere dall’esito dei negoziati con le altre forze politiche, sarà lui che dovrà tener testa a Trump e alle sue offensive, per adesso solo verbali.
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