Per anni la stazione spaziale internazionale è stata portata a esempio di collaborazione fra le nazioni. Magari impegnate a litigare sulla Terra ma unite dal comune impulso all’esplorazione e alla ricerca in quella zona franca che sembrava essere lo spazio cosmico. Un quadro che si è incrinato con la crisi ucraina e la decisione di Russia e alleati occidentali di interrompere, una volta terminati i progetti in essere, la collaborazione a bordo dell’Isis.

In realtà, da tempo lo spazio è oggetto di contesa e fonte di possibili minacce; l’Outer Space Treaty del 1967, che lo caratterizzava come spazio pacifico, aperto a tutti e privo di armi di distruzione di massa, è da tempo obsoleto. Le aree orbitali e sub orbitali, nonché i corpi celesti come la Luna, si avviano ad assumere sempre più un ruolo strategico sia dal punto di vista economico sia da quello – e questa è la principale novità – militare.

SENTINELLE NEL CIELO

Un ruolo chiave è giocato dai satelliti. I dati da loro prodotti sono oggi essenziali per le previsioni del tempo, l’agricoltura, il monitoraggio del consumo; alcuni investitori li usano anche per mettere a punto strategie di trading.

Sul piano militare, oggi servono per lo più per osservare dall’alto gli spostamenti del nemico in modo da anticiparne le mosse, a inviare il segnale Gps che è indispensabile per la geolocalizzazione e a fornire connettività Internet. Nonché a intercettare e ascoltare le comunicazioni altrui. Un domani non troppo lontano potrebbero trasformarsi in armi offensive vere e proprie, attaccando altri satelliti o fungendo da rampa di lancio per missili diretti a colpire la Terra.

Oggi ci sono circa 4.550 satelliti in orbita. Si prevede che entro il 2030 saranno 50mila, di cui molti privati. Per i satelliti pensati appositamente per scopi militari, al momento è una gara a tre fra Stati Uniti, Russia e Cina. Sopra le nostre teste circolano 150 satelliti militari americani, 129 cinesi, 125 russi. Tutti gli altri paesi seguono, a grande distanza, con meno di dieci satelliti ciascuno.

Vero però che ci sono migliaia di altri satelliti che non hanno uno specifico impiego militare, ma possono comunque risultare strategici; anche in questo caso, la guerra in Ucraina ne ha fornito una dimostrazione lampante: i satelliti privati Starlink, di proprietà di Elon Musk, sono stati determinanti nel consentire agli ucraini di conservare l’accesso a Internet quando i russi hanno interrotto il segnale proveniente dai satelliti ViaSat usati di solito.

INCONTRI RAVVICINATI

Gli invasori hanno usato in questo caso sia dei cyberattacchi, un massiccio attacco Ddos con lo scopo di mettere i satelliti offline, che delle operazioni di “jamming”, nelle quali il segnale viene bloccato disturbandone le frequenze.

Tali attività si definiscono di “counterspace” perché mirano a mettere in crisi le infrastrutture spaziali dell’avversario. Per interromperne le comunicazioni, come nei casi sopra. Oppure, ancora più preoccupante, per distruggere o bypassare i sistemi di difesa spaziale che servono a intercettare gli attacchi missilistici.

Scenari inediti sono resi possibili da un ramo in forte ascesa delle operazioni nello spazio: i servizi in orbita, ossia quei servizi resi possibili dall’incontro nello spazio di due corpi artificiali che interagiscono fra loro. Si può trattare di un semplice rifornimento di carburante; ma anche di cose più complicate, come operazioni di manutenzione o di correzione dell’orbita di un satellite, portate a termine da una navicella o un altro satellite mediante un braccio robotico.

Chiaramente, come scrivono Alessandro Marrone e Michele Nones – rispettivamente direttore del programma di Difesa dell’Istituto di affari internazionali e vicepresidente dello stesso – nel rapporto The Expanding Nexus between Space and Defence, «lo stesso braccio robotico utilizzato per le attività di manutenzione potrebbe essere manovrato per disturbare un satellite bersaglio, semplicemente danneggiandone le celle solari o il radar».

Tutte le tecnologie di questo tipo sono dette a doppio uso: possono essere utilizzate cioè sia per scopi civili che militari. Il che complica le cose e aumenta la necessità di creare standard internazionali per questo tipo di operazioni che ne assicurino l’esecuzione pacifica. Prendiamo per esempio le tecnologie per la rimozione dei detriti spaziali: satelliti in disarmo, frammenti orbitanti frutto di collisioni passate, migliaia di corpi inutili che ingombrano le orbite e creano pericoli per i manufatti funzionanti.

PER L’ATTACCO O LA DIFESA

Sbarazzarsi di questa spazzatura spaziale è un business immenso e parecchie aziende private di tutto il mondo, fra cui l’italiana D-Orbit, vi si stanno cimentando, escogitando soluzioni di vario tipo: dagli arpioni spaziali, a grandi reti con cui intrappolare i satelliti, a veicoli appositi che si agganciano a dei magneti pre-installati sul detrito al momento del lancio e lo portano a bruciare nell’atmosfera.

Alcune di queste tecniche, come gli arpioni o le reti, possono rappresentare un rischio per la sicurezza, nell’ottica di un loro utilizzo militare. È importante, perciò, che vengano fissate regole chiare che impediscano abusi o che vengano privilegiate soluzioni meno aggressive. Occorre inoltre evitare il proliferare di esperimenti di distruzione di satelliti con lancio di missili da terra, che generano altri detriti.

In assenza di regole chiare e condivise, gli stati si stanno attrezzando: un anno fa, nell’ottobre 2021, i francesi hanno lanciato in orbita Syracuse IV, un satellite per le telecomunicazioni in grado, secondo quanto riportato, di «individuare altri satelliti che stanno cercando di raccogliere informazioni da esso, o di distruggerlo». In futuro, stando a quanto dichiarato nel 2019 dalla ministra delle Forze armate Florence Parly, i satelliti francesi dovrebbero essere in grado di rispondere a queste minacce sparando dei raggi laser dal satellite stesso oppure da dei nano satelliti di pattuglia a difesa di quello principale.

Il Regno Unito teorizza, nella sua dottrina sull’“Air & Space power”, possibili operazioni offensive verso obiettivi spaziali, e non soltanto difensive come quelle francesi. Si tratta però di valutazioni puramente teoriche.

SCUDO SPAZIALE A RISCHIO?

Negli Stati Uniti, il Pentagono sta prendendo la concorrenza di Cina e Russia nello spazio molto seriamente, e ha tenuto a inizio settembre un meeting a porte chiuse di alti papaveri per capire se lo “scudo spaziale” americano a prova di missili potrebbe essere bucato da un missile ipersonico lanciato da una base in orbita. Ovvero, da un ordigno simile a quello che pare essere stato testato da cinesi lo scorso anno.

Al momento non sembra che sia così, ma gli americani hanno comunque deciso di spendere, nel prossimo quinquennio, 24 milioni e mezzo di dollari per potenziare le difese e i sistemi di allarme anti-missilistico.

E l’Italia? L’Italia ha un settore aerospaziale all’avanguardia, è il terzo contribuente dell’Agenzia spaziale europea in termini di budget e si è dotata, negli ultimi anni, di una struttura all’interno del ministero della Difesa in grado di gestire ogni aspetto riguardante i mezzi spaziali militari, dall’approvvigionamento alla messa in orbita. Dal punto di vista della ricerca spaziale militare, finora ha investito poco: solo 100 milioni a budget per il triennio 2021-2023. La situazione però potrebbe cambiare con l’arrivo dei soldi del Pnrr: quattro miliardi sono già stati allocati per lo spazio, una parte dei quali potrebbe avere applicazioni utili anche per la difesa.

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