L’interesse strategico per la regione affonda le radici nel tempo. Nell’Ottocento, una delle principali cause di tensione geopolitica nell’Artico era costituita dalla rivalità tra Russia e Gran Bretagna. In seguito, con la cessione dell’Alaska dalla Russia agli Stati Uniti, nel 1867, questi ultimi hanno iniziato a radicare i propri interessi geopolitici nella regione.

Ha così preso avvio una fase storica artica, caratterizzata da varie rivendicazioni di sovranità sull’area, non solo da parte di Stati Uniti e Russia, ma anche da parte degli altri stati costieri del bacino. In questo periodo, accanto all’elaborazione di varie (e persino fantasiose) teorie giuridiche volte a sostenere tali pretese, vi è stata una crescente militarizzazione della regione, che ha poi trovato nel periodo della Guerra fredda il suo maggiore sviluppo.

“Strategia artica”

Durante la Guerra fredda, Stati Uniti e l’allora Unione sovietica si sono spesso fronteggiate nelle acque polari, mentre Canada e Norvegia hanno sostanzialmente beneficiato della protezione di queste due super-potenze.

Gli Stati Uniti per anni hanno tenuto un generale atteggiamento di cooperazione con gli altri stati artici (al quale, tuttavia, non è mai seguita la ratifica della Convenzione di Montego Bay), ma, dal punto di vista militare e strategico, hanno continuato a detenere il primato di presenza nelle acque polari, sia direttamente che indirettamente, anche attraverso l’Alleanza atlantica.

D’altra parte, la Russia non ha mai taciuto i propri interessi nella regione artica, sia in termini politici ed economici, che militari. Così, tutti gli stati artici, uno dopo l’altro, hanno ritenuto necessario munirsi di una “strategia artica”, che non ha ad oggetto solo le aree di cooperazione, ma anche una serie di questioni relative alla sicurezza. Nel 2008, la questione relativa alla posa della bandiera russa sui fondali del mar Glaciale Artico, lungi da avere un qualsiasi effetto giuridico rilevante, ha rappresentato un’ulteriore manifestazione di pretese e tensioni geopolitiche, forse mai definitivamente sopite.

Cooperazione in crisi

Fino a pochi mesi fa, tuttavia, la stabilità della regione era, tutto sommato, fuori discussione: anche di fronte a interessi politici e strategici contrastanti degli stati artici, la spinta verso la cooperazione sembrava prevalere. Oggi, dopo l’operazione militare speciale avviata dalla Federazione russa contro l’Ucraina lo scorso febbraio e la reazione degli altri stati artici, la partita appare riaperta.

Dopo anni di cooperazione crescente e relativamente fruttuosa, gli altri sette stati membri (Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Stati Uniti e Svezia, detti “Arctic 7” o “A-7”) del Consiglio artico hanno condannato esplicitamente la condotta russa e, in una dichiarazione congiunta del 3 marzo, hanno deciso di sospendere temporaneamente la loro partecipazione a tutte le riunioni del Consiglio e dei suoi organi sussidiari.

C’è chi ha espresso un certo disappunto per la mancanza di forza della reazione del Consiglio, che non avrebbe sospeso o espulso la Federazione russa ma si sarebbe limitato a una mera sospensione di fatto dei suoi lavori, lasciando impregiudicata la stessa presidenza russa. Appare, dunque, opportuno ricordare che questa possibilità non era e non è percorribile perché non prevista da alcuno strumento giuridico vincolante relativo al funzionamento dell’organismo in esame.

Il Consiglio artico, infatti, non è un’organizzazione intergovernativa in senso tecnico, a causa della mancanza di una base giuridica solida (come, ad esempio, un trattato) e di una chiara volontà politica in tal senso degli “stati fondatori”. Come è noto, invece, si tratta di un foro intergovernativo che mira principalmente a promuovere la cooperazione e l’interazione tra gli stati, le popolazioni indigene e le comunità locali, avendo particolare riguardo allo sviluppo sostenibile e alla protezione ambientale della regione artica.

Come tale, l’unico modo di “sanzionare” la Federazione russa per gli A-7 era proprio quella di non partecipare ai lavori del Consiglio e quindi di sospendere di fatto tutte le attività di cooperazione già avviate con la partecipazione russa.

Dal punto di vista geopolitico, numerosi sono gli interrogativi relativi alle conseguenze di tale decisione e altrettanti gli scenari proposti. Dal punto di vista giuridico, invece, la questione che si pone non è tanto “se” la cooperazione nel Consiglio andrà avanti ma piuttosto “come” potrebbe svolgersi, e cioè su quale base giuridica e attraverso quali strumenti.

Sebbene la Russia attualmente presieda il Consiglio artico (fino al maggio 2023), la volontà di base degli A-7 è, infatti, quella di continuare la cooperazione nel Consiglio artico 7 senza la Russia. Appare dunque interessante immaginare come ciò possa avvenire nella pratica.

Gli interrogativi

In merito alla questione sulla base giuridica della cooperazione, è sicuramente un elemento a favore il fatto che il Consiglio artico sia solo un forum intergovernativo. Infatti, proprio poiché è stato creato attraverso una dichiarazione (Dichiarazione di Ottawa del 1996) e non tramite un trattato giuridicamente vincolante, gli A-7 godono di un ampio spazio di manovra nell’applicare in modo creativo le regole esistenti a una situazione, facendo sostanzialmente a meno della Russia.

Ciò sarà determinante, dato che il Consiglio artico ha un numero enorme di progetti in ambito ambientale che devono poter continuare in un modo o nell’altro. In questo senso può essere letta la dichiarazione degli A-7 dello scorso 8 giugno, nella quale i paesi hanno annunciato che i progetti del Consiglio che non coinvolgono i rappresentanti della Russia riprenderanno.

L’altra questione determinante è capire, invece, attraverso quali strumenti giuridici il Consiglio artico possa agire ora che la Russia detiene la sua presidenza e con essa presiede organi chiave. Gli A-7 potrebbero trovare una soluzione su come continuare senza la presidenza russa con accordi provvisori: si applicherebbero le regole interne del Consiglio artico, ma con la consapevolezza che i membri del Consiglio sono, per ora, sette.

Ciò richiederà atteggiamenti flessibili da tutte le parti, ma, dato che gli A-7 hanno affermato l’importanza della cooperazione del Consiglio artico, sembra probabile che adottino una qualche forma di accordo provvisorio. Paradossalmente, potrebbe essere, dunque, l’occasione per “rifondare” il Consiglio artico, questa volta sulla base di uno strumento giuridico vincolante.

Rimane la questione più complessa, ossia per quanto tempo la Russia, il più grande stato dell’Artico, possa di fatto rimanere fuori dal Consiglio artico, perché è estremamente necessaria la sua cooperazione nella regione in numerosi ambiti, da quello ambientale a quello energetico e di sviluppo sostenibile.

Molti hanno sostenuto che, a seguito di questa guerra, la Russia sarà per molto tempo emarginata nelle relazioni internazionali della comunità internazionale. Infatti, se il conflitto in Ucraina dovesse concludersi con l’occupazione di parte o di tutto il territorio ucraino da parte di Mosca, sarebbe molto difficile immaginare una prosecuzione dei rapporti di cooperazione con quest’ultima. Secondo il diritto internazionale, inoltre, le acquisizioni territoriali derivanti da un atto di aggressione non possono essere considerate lecite. Ciò sarebbe, dunque, un ostacolo alle relazioni tra la Russia e la maggior parte degli stati del mondo, compresi quelli all’interno del Consiglio artico.

Il futuro della cooperazione artica è, dunque, incerto, mentre ciò che invece appare certo è che, più a lungo si protrarrà questa “pausa”, più sarà complesso proseguire la cooperazione nell’Artico in ambiti oggi troppo urgenti per subire rallentamenti come, ad esempio, quello della lotta al cambiamento climatico.  

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