Migliaia di cittadini russi hanno risposto all’ordine di mobilitazione parziale del presidente Vladimir Putin con esodi di massa e manifestazioni di piazza. Sono oltre 1.300 gli arresti registrati finora e oltre la metà sono donne secondo quanto riporta l’ong Ovd-info, ad alcuni degli uomini arrestati sono stati consegnati i documenti per l’arruolamento.

Oltre il danno anche la beffa, ma si tratta di una misura «legittima» secondo il Cremlino che sta cercando di raccogliere il prima possibile i 300mila uomini necessari da mandare in Ucraina. I manifestanti hanno raccolto l’appello del gruppo di opposizione Vesna che ha chiesto di scendere nelle piazze contro la mobilitazione. «No alla guerra» è il grido urlato nelle strade di Mosca e San Pietroburgo, le due città dove si sono concentrate il maggior numero di proteste.

Il Moscow Times scrive che due bottiglie incendiarie sono state lanciate contro un ufficio di arruolamento e un edificio amministrativo.

Chi non manifesta e non ha intenzione di andare a difendere i mille chilometri della linea di contatto del fronte decide di lasciare la Russia. Dopo il sold out dei voli diretti verso i paesi vicini, dove non è necessario ottenere il visto per i cittadini russi, a migliaia sono arrivati in Europa chiedendo asilo politico. La guardia di frontiera della Finlandia ha detto che nelle 24 ore successive dal discorso alla nazione di Putin ben 4.824 cittadini russi sono entrati nel paese attraversando il confine.

La Lettonia e l’Estonia hanno già annunciato che non accetteranno le domande d’asilo per motivi di sicurezza interna, mentre il governo tedesco, tramite la ministra dell’Interno, Nancy Faeser e il responsabile della Giustizia, Marco Buchmann hanno dichiarato benvenuti i disertori russi. «La Germania è pronta ad accogliere i disertori “minacciati di repressione”», ha detto Faeser alla Faz.

Le difficoltà di Mosca

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Sul fronte interno il Cremlino sminuisce il valore delle proteste. Una funzionaria del ministero degli Interni russo, Irina Volk, ha detto ai giornalisti che «in alcune regioni ci sono stati tentativi di inscenare azioni non autorizzate che hanno riunito un numero estremamente ridotto di partecipanti». Ma «sono stati tutti fermati». Il Cremlino definisce invece «esagerate» le notizie riguardo l’esodo di cittadini all’estero.

Un video pubblicato online e girato nella repubblica del Dagestan mostra che non sarà facile per il governo russo portare a termine la campagna di mobilitazione parziale visti i malumori generali della popolazione. Le immagini ritraggono una funzionaria addetta all’arruolamento discutere animatamente con un uomo al quale chiede di combattere per il proprio futuro. «Non abbiamo neanche un presente, di quale futuro stai parlando?», è la risposta dell’uomo.

Il ministro della Difesa russo Serghei Shoigu ha detto che saranno chiamati 300mila riservisti, ma i dati ufficiali sono secretati così come le regole per decidere chi sono i cittadini arruolati. Il numero potrebbe essere molto più alto: il giornale indipendente Novaya Gazeta citando una fonte ufficiale che ha chiesto di mantenere l’anonimato scrive che saranno un milione i riservisti chiamati per andare in Ucraina, ma il Cremlino ha smentito la notizia.

Le richieste di Zelensky

Intanto alle Nazioni unite, dopo il videomessaggio del presidente ucraino Volodymyr Zelensky all’Assemblea generale, ieri la Cina ha portato le sue quattro proposte per la pace alla riunione del Consiglio di sicurezza: dialogo senza pre condizioni, «lavorare insieme per la de escalation» e per «creare le condizioni per un accordo politico», favorire gli interventi umanitari e non politicizzare le indagini per accertare gli abusi, cercare la «stabilizzazione economica», cominciando dall’aiutare l’esportazione di grano russo e ucraino.

Poche ore prima Zelensky aveva dettato le sue condizioni per tornare al tavolo delle trattative, tra cui l’istituzione di un tribunale speciale che possa giudicare i crimini di guerra commessi dai soldati russi, il ripristino della sicurezza e dell’integrità territoriale dell’Ucraina, garanzie di sicurezza per il paese e la punizione dell’aggressione russa attraverso l’interruzione delle relazioni commerciali e di scambio con Mosca.

Il premier Mario Draghi e altri leader europei hanno detto più volte che è Kiev a decidere le condizioni di pace. A sette mesi dall’inizio del conflitto, con la controffensiva dell’esercito ucraino che prosegue e proprio mentre era in corso l’assemblea generale dell’Onu, c’è stato anche il più importante scambio di prigionieri avvenuto dall’inizio della guerra. A fare da tramite sono stati il presidente turco Recep Tayyp Erdogan e il principe saudita Mohammed bin Salman. In cambio di 55 soldati russi e dell’oligarca ucraino filorusso Viktor Medvechuk, Mosca ha rilasciato 215 ucraini, tra cui i comandanti del battaglione Azov, due cittadini americani e cinque britannici.

Ieri il vicepresidente del Consiglio di sicurezza Dimitri Medvedev ha rilanciato le minacce di Putin e ha detto che la Russia userà «qualsiasi arma, comprese quelle nucleari» per difendere anche i territori ucraini (Kherson, Zaporizhzhia, Donetsk e Lugansk) in cui si voterà – a partire da oggi e tramite referendum – per l’annessione alla Federazione russa. Minacce che per molti non sono altro che un chiaro segnale di debolezza e che provano a scuotere una guerra in cui l’esercito russo sta perdendo terreno.

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