«L’operazione speciale in Donbass e in Ucraina è per fermare un genocidio. Bisogna dare la propria vita per gli altri e salvare i valori cristiani».  Allo stadio Luzhniki di Mosca, tra i boati e i cori di una folla festante e osannante che riempiva gli spalti e la piazza all’esterno, il presidente russo, Vladimir Putin, in occasione dell’ottavo anniversario dell’annessione della Crimea nel 2014, ha dato vita a un’altra narrazione rispetto a quella che arriva dalle città bombardate dell’Ucraina e a quella dell’occidentale.

La sua visione del mondo, che giustifica l’invasione del paese trasformando il conflitto in una guerra di liberazione dal nazi-fascismo. Dopotutto l’evento, trasmesso in tv, si intitolava “Per un mondo senza nazismo, per la Russia, per il presidente”. Una pericolosa melassa di concetti nazionalistici pronti a deflagrare verso i paesi vicini, come i Baltici, con forti minoranze russofone.

È come se Putin stesse tentando di riportare indietro le lancette della storia e con esse il paese ai tempi dell’Unione sovietica e di Stalin (come ha scritto l’Economist), in un percorso a ritroso nel tempo che cancella la destalinizzazione dello stesso apparato sovietico portata avanti nel 1956 da Nikita Krusciov, primo segretario del Pcus a denunciare pubblicamente in un congresso di partito i crimini di Iosif Vissarionovič.

Putin sta cercando di cancellare l’opera riformatrice di tutti coloro, come Michail Gorbaciov, che avrebbero, a suo modo di vedere, favorito la dissoluzione dell’Unione sovietica, «il peggior disastro del XX secolo». Non solo. Il presidente russo vuole mettere in soffitta l’opera degli intellettuali dissidenti verso il regime sovietico come Boris Pasternak, l’autore del Dottor Zivago, libro pubblicato in occidente da Feltrinelli e in Unione sovietica 30 anni dopo, Michail Bulgakov, l’autore del capolavoro Il maestro e Margherita e Aleksandr Solženicyn, l’autore di Una giornata di Ivan Denisovič, novella anti-stalinista pubblicata nel 1962 con l’assenso di Krusciov, e di Arcipelago gulag, la descrizione del sistema di repressione del dissenso ai tempi del sistema sovietico.

Putin si allontana

Putin, tra le 200mila persone presenti allo stadio, ha voluto ribadire la sua totale opposizione all’occidente mettendo la parola fine a quel tentativo di allargare il G7 a Mosca e di inglobarla nel sistema del “mondo libero”. Mosca torna a essere altro dall’occidente, una autocrazia che guarda all’Asia. Come nel geniale racconto di Bulgakov, Cuore di cane, l’esperimento di costruire l’uomo nuovo e di avvicinamento russo all’occidente, è destinato a fallire.

Putin ha fatto il suo ingresso allo stadio moscovita, indossando giacca a vento blu e maglione a dolce vita: «Gli abitanti della Crimea hanno fatto la cosa giusta opponendosi ai nazisti. Sono gli abitanti della Crimea che hanno fatto la scelta giusta, hanno messo un ostacolo al nazismo, che continua a esserci nel Donbass, con operazioni punitive di quella popolazione. Sono stati vittime di attacchi aerei ed è questo che noi chiamiamo genocidio. Evitarlo è l'obiettivo della nostra operazione militare in Ucraina». Putin ha richiamato ancora una volta la retorica della grande guerra patriottica contro il nazismo:  «Kiev organizza operazioni militari punitive contro il Donbass, così siamo intervenuti con un’operazione speciale per fermare un genocidio dei russi».

Prima del discorso allo stadio, il presidente aveva avuto un colloquio con il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, cui ha riferito che «da Kiev arrivano proposte sempre più irrealistiche».

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