Passano le settimane, ma l’invasione russa in Ucraina non si arresta. Nonostante gli errori strategici, la sottovalutazione delle capacità della resistenza ucraina e le carenze logistiche, la Russia di Putin avanza inesorabilmente verso l’ovest del paese, sta accerchiando la capitale Kiev ed è pronta a sferrare l’ultimo assedio.

L’imprevedibilità della scelta di Vladimir Putin ha colto di sorpresa anche i più attenti analisti di politica russa che, negli ultimi mesi, si aspettavano un’occupazione del territorio del Donbass, ma escludevano l’eventualità di un conflitto più vasto. Dall’inizio della guerra diverse sono, quindi, le ipotesi circolate sullo stato di salute del presidente Putin e sugli obiettivi concreti di questo intervento.

Un gesto irrazionale?

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Sono analisi superficiali, congetture o tentativi di attribuire una logica razionale a una decisione che sembra determinare solo costi (di vite umane, economici, reputazionali, etc…) senza benefici per il Cremlino? È il rifiuto psicologico di accettare che nel 2022 e dopo due anni di pandemia che ci ha resi vulnerabili sotto tutti i punti di vista, la storia del primo Novecento sembra ripetersi tragicamente? Ancorarci all’irrazionalità di Putin, aiuta a giustificare l’incapacità di prevenire e prevedere questo conflitto che ha alimentato frustrazione, impotenza e scoramento, e di trovare una soluzione immediata per scongiurare il peggio?

Non c’è mai alcuna motivazione, giustificazione, una ragione per avviare una guerra, ma spesso chi le genera ha solo uno scopo ben preciso: l’autoperpetuazione del potere.

Da quando Putin è diventato presidente della Federazione russa, nei media statali e internazionali sono sempre state diffuse immagini volte a dimostrare il vigore e la prestanza fisica del “machismo” al potere che costituisce un tratto essenziale del “putinismo”. La presenza costante della fisicità di Putin è stata proposta in diverse situazioni: dalle cavalcate a torso nudo nel sud della Siberia, al volo con i deltaplani a motore sulla steppa, ai suoi combattimenti sul Tatami, alle prove di tiro con le armi da fuoco sino ai bagni nei fiumi congelati e nei laghi della Russia.

Queste immagini sono state utilizzate per diffondere un messaggio molto preciso: contrapporre la figura giovane, capace di prendersi cura del destino della Russia in contrapposizione alla debole figura del suo predecessore, Boris El’cin, noto per il suo precario stato di salute.

Anche lo scorso anno il presidente Putin non ha esitato a farsi riprendere nel rito dell’Epifania ortodossa russa, che prevede un’immersione nell’acqua ghiacciata, e a sfidare il suo omologo bielorusso, Aleksandr Lukashenko, in una partita a hockey sul ghiaccio dopo i colloqui diplomatici a San Pietroburgo del dicembre 2021.

Tuttavia, è dal 2014 che la stampa internazionale diffonde illazioni sulla salute del presidente russo, descritto come malato di cancro all’intestino, alla prostata o al pancreas, ovvero di Parkinson e sotto il costante uso di un mix di farmaci antinfiammatori a base di cortisonici e di Nsaid (Fasn-Farmaci antinfiammatori non steroidei) che sarebbero la causa dell’aspetto “paffuto” del volto di Putin.

In seguito all’attacco all’Ucraina molti quotidiani internazionali, soprattutto il Daily Star e il Daily Telegraph, hanno rilanciato la notizia di una patologia psicologica del presidente russo che spiegherebbe «la perdita di senno», la «pazzia dello Zar». Ad avvalorare questa ipotesi è stato anche l’ex professore di storia dell’Istituto Statale di Mosca, Valerij Solovei, che ha affermato: «Vladimir Putin ha il cancro e il morbo di Parkinson». Prontamente smentita dal Cremlino, la dichiarazione del professore ha generato la convinzione che Putin abbia deciso, prima di morire, di invadere l’Ucraina per lasciare un segno nella storia russa.

In realtà, l’analisi dei profili psicologici dei leader politici è sempre stata oggetto di un’unità specifica della Cia americana, creata da Jerrold Post, ma per il dossier ucraino le diverse fonti di intelligence sono arrivati alla seguente conclusione: «Abbiamo sentito che ha un problema a una gamba e che fatica a controllare una mano, il che potrebbe indicare un lieve ictus o forse il Parkinson. Ma non abbiamo sentito che sia gravemente malato».

Un’altra spiegazione della eventuale pazzia di Putin è collegata all’isolamento (“nonno bunker”) cui si è sottoposto dall’inizio della pandemia. Per alcuni analisti questa situazione avrebbe determinato gravi impatti psicologici che non gli consentirebbero di distinguere la realtà e di valutare con scrupolo e logica le informazioni ricevute dalle persone che lo circondano.

Non ci sono verità assolute e l’ipotesi di un gesto irrazionale del presidente russo può dare un senso alla situazione che stiamo vivendo. Ma se così fosse, come giustificare gli interventi militari in Georgia nel 2008, in Crimea nel 2014 e in Siria nel 2015? Erano decisioni di un pazzo?  E perché il fronte euroatlantico non l’ha preso seriamente in considerazione?

Rimanere al potere

AP Photo/Vadim Ghirda

Nell’escludere il gesto di un pazzo, bisogna sforzarsi di comprendere quale siano le motivazioni razionali che Putin ha elaborato per intraprendere un’iniziativa così rischiosa, non solo per la sua incolumità e leadership, ma anche per la sopravvivenza stessa della Russia. Secondo l’opinione di Timothy Frye, pubblicista su Foreign Affairs, il presidente russo ha dimostrato sinora di saper contrastare e reagire alle minacce che tutti gli autocrati devono affrontare: le proteste di massa e i colpi di stato attuati da componenti dell’élite al potere. Tuttavia, l’avvio di questa “operazione militare speciale” può comportare effetti imprevisti che minano la stabilità e l’ordine del paese, ovvero i principi cardini della “dittatura della legge” che ha contraddistinto il programma politico del presidente Putin in questi vent’anni.

L’annessione della Crimea (la “riunificazione” secondo il Cremlino) ha rappresentato una medaglia al petto per il presidente Putin che gli ha già assicurato un posto nella storia della Russia postcomunista con alti livelli di consenso, mai ottenuti prima di allora. Perché, quindi, avviare un conflitto su vasta scala che potrebbe trasformarsi in una Terza guerra mondiale o quantomeno imprimere un’instabilità dell’ordine internazionale e l’isolamento della Russia?

La risposta di Frye è che il capo del Cremlino si è da tempo affidato ai servizi di sicurezza per rimanere al potere, imprimendo un’accelerazione all’involuzione autoritaria del paese, caratterizzata da una maggiore repressione in patria e una politica più assertiva all’estero. In quest’ottica, l’occupazione dell’Ucraina rafforza il patto di Putin con i siloviki, che gli permette di rimanere al potere, ma, al contempo, lo rende più dipendente dall’apparato di sicurezza. Non solo. Nell’ultimo decennio la Russia di Putin ha investito mediamente quasi il 5 per cento del Pil per modernizzare l’esercito – dalle divise agli armamenti più sofisticati – su sollecitazione del ministro della Difesa, Sergej Shoigu.

Il nuovo complesso militare ha potuto conseguire successi in Crimea e in Siria che hanno probabilmente indotto il presidente Putin a ritenere possibile un intervento militare anche in Ucraina per chiudere una situazione lasciata in sospeso da otto anni. Sconfiggere l’Ucraina con un Blitzkrieg, che è risultato fallimentare, ha indebolito il Cremlino che ora si trova nella difficile situazione di sostenere i costi di una guerra più lunga del previsto. Come ha potuto Putin commettere un errore così grande e dalle conseguenze imprevedibili per la Russia?

Una risposta è stata fornita da due giornalisti investigativi, Andrej Soldatov e Irina Borogan secondo i quali il capo della quinta Divisione della Fsb, Sergej Beseda, e il suo vice Anatolij Bolukh hanno fornito “deliberatamente” errate informazioni sulla situazione in Ucraina e rubato denaro destinato ad arruolare agenti e organizzare operazioni sovversive. Il media indipendente “meduza.io” ha riportato la notizia dell’ordine di Putin di arrestare Beseda e Bolukh e il direttore della Cia, William Burns, ha affermato che il presidente russo sta «ribollendo nella combustibile combinazione di rancore e ambizione».

Ma la mentalità sovietica non consente di tornare indietro sui propri passi. E così Putin deve perseguire l’obiettivo finale di assediare Kiev, destituire Zelensky e instaurare un governo provvisorio filorusso. Anche in questo caso, il Cremlino si troverebbe una parte della popolazione ucraina ostile, sanzioni economiche che potrebbero determinare il default tecnico del paese e, nella peggiore delle ipotesi, la dissoluzione della Russia e la perdita di status di grande potenza a lungo ambito da Putin. Un errore di valutazione per mancanza di informazioni corrette e dettagliate o per un eccesso di presunzione dello zar Putin potrebbe essere fatale.

Il preside della facoltà di politica globale di Mosca, Andrej Sidorov, ha affermato che per la Russia «questo periodo non sarà facile. Anzi, sarà molto difficile. Potrebbe essere anche più difficile di quanto non sia stato per l’Unione sovietica dal 1945 fino agli anni Sessanta… Siamo più integrati nell’economia globale rispetto all’Unione sovietica, dipendiamo maggiormente dalle importazioni e l’elemento più importante è che una Guerra fredda è innanzitutto una guerra delle menti. Sfortunatamente, l’Unione sovietica aveva un’idea consolidata su cui centrare il sistema. A differenza dell’Unione sovietica, oggi la Russia non ha niente di simile da offrire».

La exit strategy

A Ukrainian serviceman guards his position near Brovary, north of Kyiv, Ukraine, Thursday, March 17, 2022. (AP Photo/Serhii Nuzhnenko)

Quali possono essere le “vie di fuga”, gli scenari possibili che possono consentire al Cremlino di “uscire dignitosamente” da questo assurdo conflitto?

Come sostiene Mark Galeotti: «La Storia non è una mappa del futuro, ma ci ricorda che la guerra può cambiare tutto. Può sembrare quasi inconcepibile che il regno di Putin possa finire presto, ma ora ha scommesso tutto sulla guerra in Ucraina».

Il Financial Times in un articolo pubblicato l’11 marzo, intitolato Endgame in Ukraine: how could the war play out?, ha proposto cinque scenari dell’evoluzione di questo conflitto. Il primo prevede la vittoria della Russia «a qualunque costo» con la resa degli ucraini, il rovesciamento del presidente ucraino, Volodomyr Zelensky e l’insediamento di un regime fantoccio anche se la resistenza della popolazione potrebbe essere fortissima.

La seconda opzione si basa su una divisione territoriale dell’Ucraina con la parte meridionale e orientale sino a Kiev in mano al Cremlino e la parte occidentale lasciata all’attuale governo ucraino con la città di Leopoli capitale.

Questo scenario consentirebbe a Putin di presentarsi come il vincitore del conflitto e consolidare un “cuscinetto” tra la Russia e l’occidente. Un’altra soluzione potrebbe essere una tregua in cambio del territorio del Donbass e della Crimea oppure il più improbabile (al momento) rovesciamento di Putin per mano di una coalizione tra l’esercito militare e i siloviki. L’ultima e più drammatica evoluzione del conflitto sarebbe un coinvolgimento della Nato e degli Stati Uniti così causando, come ha affermato lo stesso presidente americano, Joe Biden, lo scoppio della Terza guerra mondiale.

Vedremo sino a che punto lo sforzo di mediazione della Turchia e, soprattutto, della Cina riusciranno a far desistere Putin. Ad oggi la possibilità di un incontro tra Zelensky e Putin è considerato “concettualmente possibile” dal Cremlino. L’unico spiraglio di luce in fondo al tunnel.

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