Dopo una lunga notte, sirene e allarmi ieri hanno smesso di suonare solo alle nove del mattino. Il principale bersaglio dell’ultimo attacco delle forze russe è stata la capitale, salvata in parte dalla contraerea e dai velivoli intercettori che hanno fronteggiato oltre cinquecento missili balistici e droni Shahed. Nel raid a tappeto, forse uno dei più duri su Kiev dall’inizio della guerra, le esplosioni hanno illuminato di rosso la città nelle ore più buie. Il bilancio è di un morto e decine di feriti che continuano ad aumentare mentre si scava tra macerie e cenere.

«I primi allarmi aerei nelle nostre città e regioni sono iniziati ieri quasi contemporaneamente all’inizio della discussione nei media sulla telefonata tra Trump e Putin», ha scritto Zelensky, che ha definito l’attacco «dimostrativamente ampio e cinico». Per questo Kiev è tornata a reclamare di nuovo con forza ieri i “protettori della vita”, i sistemi di difesa aerea Patriot, quelli che il Pentagono ha deciso, insieme ad altri armamenti, di non spedire più fino a nuove direttive.

Solo parole

La sospensione degli aiuti doveva essere il cuore del colloquio programmato tra Zelensky e Trump, ma con il repubblicano la prospettiva spesso si rovescia. Nella telefonata di ieri, durata circa quaranta minuti, e giudicata comunque «fruttuosa e importante» dalle autorità ucraine, l’americano però non ha preso veri impegni: ha promesso solo un vago sostegno alla difesa aerea del paese in guerra. «Lavoreremo insieme per rafforzare la protezione dei cieli», ha detto Zelensky riferendo del colloquio: «Sosteniamo ogni sforzo per fermare le uccisioni e ripristinare una pace normale, stabile e dignitosa».

Ma il leader ucraino non è il solo ad aver parlato con Trump ieri: anche Giorgia Meloni ha fatto sapere di aver telefonato con il presidente americano, aggiungendo di «sperare in sviluppi positivi sulla questione ucraina». Dopodiché la premier si è sentita in dovere di precisare che «gli Stati Uniti non hanno interrotto la fornitura di armi a Kiev. Hanno rivisto la decisione di togliere determinate forniture, che è ben diverso dal togliere il sostegno all'Ucraina».

La realtà, però, parla anche un’altra lingua. Il ministro degli Esteri ucraino Andriy Sybiha ha postato sui social foto dei detriti dei droni usati contro Kiev: sono stati costruiti in Cina alcuni di quelli usati nell’ultimo attacco, che è la dimostrazione plastica del «disprezzo verso gli Stati Uniti e per chiunque abbia chiesto la fine della guerra» che nutrono i russi. Secondo Sybiha, l’operazione è iniziata «subito dopo che Putin ha parlato con Trump».

Dall’attacco era passata infatti solo qualche ora da quando, a centinaia di chilometri di distanza, uno a Mosca e l’altro a Washington, i due presidenti avevano attaccato la cornetta. Quella tra Trump e Putin, a giudicare dal risultato del giorno dopo, è stata una telefonata aleatoria, come minimo.

Il presidente russo ha ribadito che non rinuncerà ai suoi obiettivi in Ucraina; quello americano – che in campagna elettorale prometteva di mettere fine alla guerra in un giorno solo – ha fatto sapere al mondo: «Non sono contento», e poi «non ho fatto nessun progresso sull’Ucraina con Putin». Con ambiguità e schiettezza laconica, ha risposto ai reporter che gli hanno chiesto della sospensione degli invii di armi a Kiev: «Le abbiamo date e continuiamo a farlo, ma dobbiamo essere sicuri di averne abbastanza per noi».

L’offensiva prosegue

Obiettivo dei massicci attacchi sferrati contro la capitale ucraina, secondo il ministero della Difesa russo, era l’annichilimento di siti militari, tra cui fabbriche di droni. Anche al Cremlino, come Trump, probabilmente sono poco felici: nemmeno un giorno dopo il contatto telefonico tra leader, il portavoce Dmitri Peskov ha dichiarato che in questa fase del conflitto risulta poco probabile che i risultati saranno ottenuti con i negoziati: «Preferiamo la via diplomatica. Ma finché ciò non sembrerà possibile, continueremo con l’operazione militare speciale». L’offensiva prosegue intensa mentre la Difesa russa continua a rivendicare la conquista di nuovi villaggi al fronte ogni giorno.

Adesso all’orizzonte c’è però anche un doppio meeting per risollevare Kiev. Un prossimo vertice dei volenterosi si terrà nel Regno Unito il 10 luglio: a guidare l’evento il presidente francese Macron e il premier britannico Starmer, che dibatteranno del rafforzamento delle capacità di combattimento della Difesa dell’Ucraina «seriamente» (parola che ha scelto l’Eliseo per comunicarlo).

I leader si collegheranno da remoto per discutere di sostegno a Zelensky e «rigenerazione dell’esercito ucraino» alla Ukraine Recovery Conference (Conferenza per la ricostruzione dell’Ucraina), prevista nello stesso giorno a Roma. Ad aprire l’incontro, la premier italiana Giorgia Meloni, attesi interventi di Zelensky, della presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen e del cancelliere tedesco Friedrich Merz.

Anche il leader tedesco ieri ha parlato con Trump. Secondo lo Spiegel, Washington non si è dimostrata contraria a trattare e impegnarsi con Berlino per l’acquisto dei missili antiaerei che reclamano gli ucraini.

I tentativi dell’Unione finora si sono dimostrati inefficaci, e non è chiaro come questi ultimi sforzi potranno cambiare la situazione. E non è chiaro nemmeno cosa succeda alla Casa Bianca. Secondo un’indiscrezione di Politico, mentre prosegue l’offensiva, politica e militare, l’inviato speciale statunitense per l’Ucraina Steve Witkoff starebbe lavorando per revocare le sanzioni contro il settore energetico russo.

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