Le sirene tornano a suonare in quasi tutta l’Ucraina. I bombardamenti dell’esercito russo hanno colpito nelle prime ore del mattino le città di Kiev, Odessa e Kharkiv oltre a diverse infrastrutture nella regione di Mykolaiv. Non accadeva da diverse settimane. Nella capitale è stato preso di mira un impianto energetico e al momento, stando a quanto riportato dal sindaco Vitali Klitschko, il 40 per cento degli abitanti è rimasto senza riscaldamento.

Il bilancio dei bombardamenti a Kiev è di due morti. A Leopoli, invece, almeno cinque persone sono state uccise nel distretto di Zolochiv, dopo la caduta di un razzo in una zona residenziale. Altre tre persone hanno perso la vita a Kherson. Il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, ha detto che l’attacco russo «non mirava ad alcun obiettivo militare» e ha ribadito la necessità di un tribunale speciale per giudicare Vladimir Putin e i suoi collaboratori. 

«Il nemico ha effettuato circa 15 attacchi contro la città e la regione. Gli occupanti hanno ancora una volta preso di mira le infrastrutture critiche», ha detto invece il governatore della regione di Kharkiv. La strategia russa non è nuova. Dallo scorso autunno l’esercito di Mosca sta prendendo di mira le infrastrutture energetiche del paese per indebolire la popolazione durante il lungo freddo ucraino.

I missili hanno anche provocato il taglio della centrale nucleare di Zaporizhzhia dalla rete elettrica nazionale. Due reattori sono stati spenti e diciotto generatori diesel sono stati attivati per mantenere i sistemi di sicurezza attivi, prima che, nel primo pomeriggio, venisse ristabilita la fornitura di energia. Il direttore dell’Iaea Rafael Grossi ha detto che ogni interruzione della corrente alla centrale equivale a «lanciare un dado» e che presto «un giorno potremmo esaurire la nostra fortuna». 

In totale, la Russia, secondo l’aeronautica ucraina, ha lanciato 81 missili, di cui ben sei del modello Kinzhal, un vettore ipersonico, e otto droni suicidi modello Shahed, di origine iraniana. Le difese aeree hanno distrutto 34 missili da crociera e quattro droni, evitando un bilancio che sarebbe potuto essere ancora più grave. I missili ipersonici, invece, sono al momento fuori dalla portata delle difese ucraine. 

Il ministero della Difesa comunica che il massiccio attacco missilistico è da considerarsi una rappresaglia dopo l’incursione in territorio russo, nella regione di Bryansk, compiuta il 2 marzo da poche decine di «sabotatori ucraini», poi rivelatisi membri del Corpo di volontari russi, una fazione paramilitare filoucraina e anti Putin ideologicamente vicina al neonazismo.  

Il fronte diplomatico

Mentre continuano i bombardamenti la diplomazia è ancora ferma e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha ribadito che al momento non ha intenzione di incontrare Vladimir Putin. «Non abbiamo alcuna circostanza per parlare con il presidente della Federazione Russa perché non mantiene la parola data. Non abbiamo alcuna fiducia in lui», ha detto Zelensky in un’intervista alla Cnn.

«La Russia dovrebbe lasciare il nostro territorio. Dopo di che, saremo felici di unirci agli strumenti diplomatici. Per farlo, possiamo trovare qualsiasi formato con i nostri partner», ha aggiunto.

In bilico anche il futuro dell’accordo sul grano ucraino che consente l’export attraverso il mar Nero. L’accordo scadrà il 18 marzo e non può essere rinnovato senza il consenso russo. Il Cremlino ha detto che non ci sono ancora piani per incontrare il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, per discutere dell’iniziativa su cui Mosca «ha ancora molti dubbi». 

Sergej Lavrov, ministro degli Esteri, ha definito «complicato» il rinnovo poiché l’accordo «non è stato adeguatamente implementato». 

Bakhmut

Il fronte più caldo della guerra rimane sempre Bakhmut, nella regione di Donetsk, dove gli ucraini difendono l’avamposto nonostante l’accerchiamento russo. Secondo analisti ed esperti è questione di giorni prima che gli ucraini si ritirino dalle proprie posizioni difensive. Il presidente Zelensky non vuole ritirarsi da Bakhmut, nonostante secondo gli alleati Nato sia giunto il momento di abbandonare la città. 

«La Russia ha perso a Bakhmut più soldati di quanti ne ha perduti l’Unione Sovietica in dieci anni di conflitto in Afghanistan», ha detto il ministro degli Esteri Dmitro Kuleba in un’intervista rilasciata a Repubblica, La Stampa e Agenzia Nova. «Se ti ritiri da Bakhmut e costruisci una linea di difesa diciamo a Kostjantynivka, la stessa intensità dei combattimenti si sposterà lì. E non c’è differenza tra combattere a Bakhmut e combattere a Kostjantynivka. Se puoi ancora combattere a Bakhmut, allora devi combattere», ha aggiunto.

Di diverso avviso è invece il segretario della Difesa americano Lloyd Austin che a inizio settimana aveva detto: «La caduta di Bakhmut non significherà necessariamente che i russi stanno avendo la meglio nel conflitto», aggiungendo che «la città ha un valore più simbolico che reale».

Le versioni sul Nord Stream

Dopo le rivelazioni del New York Times e di alcuni media tedeschi, si accende il dibattito sulle responsabilità dell’attacco al gasdotto Nord Stream. Dmitry Medvedev, vice presidente del consiglio di sicurezza russo ed ex presidente durante la diarchia con Putin versione primo ministro, ha classificato le indiscrezioni del Nyt che attribuiscono la responsabilità a un generico «gruppo pro Ucraina» come «propaganda americana».

Con un certo sarcasmo, Medvedev, riporta Tass, ha paragonato gli autori dell’attacco ai «bastardi senza gloria» di Quentin Tarantino, mettendo in dubbio la possibilità per dei «lupi solitari» di compiere un’operazione di tale portata senza l’appoggio di uno stato. Sulla stessa linea anche il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. 

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