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Sin dal Secondo conflitto mondiale, la diplomazia pubblica è sempre stata uno strumento permanente della politica estera e della sicurezza nazionale americana che ha avuto la sua massima espressione, una vera e propria “età dell’oro”, durante la Guerra fredda.
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Ma quanto ha inciso la stabilità/instabilità dell’ordine internazionale nelle scelte di public diplomacy compiute dai presidenti americani dopo il crollo dell’Unione sovietica?
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Per cercare di rispondere a questa domanda è opportuno analizzare il tipo di soft power, declinato nelle sue varie forme di propaganda, branding nazionale e diplomazia pubblica, che le amministrazioni americane hanno implementato nei confronti della Russia post-comunista. Il testo è parte del nuovo numero di Scenari, scopri quali sono gli altri contributi. Per leggerli tutti è possibile abbonarsi qui.
Con il termine public diplomacy, usato per la prima volta nel 1965 da Edmund Gullion, s’intende un insieme di azioni di vario tipo – discorsi ufficiali, report, audizioni, lettere pubbliche, comunicati e conferenze stampa – elaborate dalle autorità governative per influenzare l’opinione pubblica di altre nazioni sull’immagine e sulle politiche attuate nel proprio paese. Sin dal Secondo conflitto mondiale, la diplomazia pubblica è sempre stata uno strumento permanente della politica estera e d



