Il Giubileo del 2025 salverà i bilanci vaticani sempre più pericolosamente in rosso? Difficile dare una risposta definitiva, e tuttavia la scommessa sembra essere anche questa. Sì perché, da sempre, l’indizione di un anno santo, oltre a un significato religioso, ne ha anche un altro, altrettanto rilevante, quello di riassestare le finanze d’Oltretevere.

Bisogna infatti considerare che fra le entrate più importanti per la Santa Sede, ci sono quelle relative alle offerte dei fedeli, in calo da anni, che hanno raggiunto picchi negativi nel 2020 e nell’anno successivo, il periodo segnato dall’epidemia mondiale di Covid. Inutile dire che la pandemia ha inciso fortemente anche su altre fonti primarie di guadagno: dai Musei vaticani, le cui entrate risultano decisive per il Governatorato vaticano, ovvero lo stato con le sue strutture amministrative, ai vari esercizi commerciali, alle donazioni fatte dai fedeli nella stessa basilica di San Pietro.

La carica dei pellegrini

Col passare del tempo la situazione sta tornando quasi alla normalità ma, appunto, “quasi”, il che vuol dire che difficilmente si potranno raggiungere nuovamente i numeri pre-pandemia. Il covid, infatti, ha avuto tra i suoi effetti imprevisti, anche quello di accelerare processi già in corso come lo svuotamento delle chiese, cioè di far crollare la partecipazione alle funzioni religiose, in particolare nei paesi occidentali. Il che ha inciso ulteriormente sul calo delle offerte.

Il Giubileo con l’arrivo previsto fra i 30 e i 40 milioni di pellegrini, secondo le cifre confermate più volte da monsignor Rino Fisichella, che segue per il Vaticano la preparazione dell’evento, potrebbe avere due effetti positivi per le finanze del papa: immettere risorse fresche nelle casse vaticane e riattivare, sul piano globale, dei circuiti virtuosi rispetto alle donazioni dei fedeli. Per questo è necessario che l’evento abbia pieno successo e rianimi un mondo cattolico fin troppo ripiegato su se stesso.

Multinazionali in Vaticano

Non per caso, allora, il Vaticano ha ingaggiato Deloitte, un colosso fra le multinazionali nel campo della consulenza finanziaria, nelle strategie manageriali e di marketing, come “advisor strategico” per il Giubileo del 2025. In un comunicato, Deloitte, ringraziava monsignor Fisichella «per il coinvolgimento in un così importante appuntamento per i cattolici di tutto il mondo che rappresenterà anche un momento di rinascita e sviluppo per la città di Roma e per il sistema paese».

Deloitte, per non sbagliare, nel frattempo ha aperto una nuova mega-sede nella Capitale, in via Veneto, nell’ex palazzo dell’Iri. D’altro canto i circa 3,5 miliardi di investimenti previsti per il Giubileo grazie ai fondi del Pnrr, sono un’occasione per tutti: dal Vaticano, all’amministrazione cittadina, al governo. Per questo marciano tutti uniti verso l’obiettivo comune: chiudere gran parte dei cantieri (per cambiamenti della viabilità, accoglienza pellegrini, rifacimento strade e piazze, privilegiando l’area intorno a San Pietro naturalmente) entro il prossimo Natale, quando il papa aprirà la porta santa.

Un deficit strutturale

Era stato l’attuale prefetto della Segreteria per l’economia vaticana a lanciare l’allarme e a dire che la situazione finanziaria della Santa Sede era tutt’altro che rosea; l’economista Maximino Caballero Ledo, infatti (uno dei pochi laici ai vertici del Vaticano), nell’ottobre scorso, intervistato dall’Ansa nel corso del festival sulla cultura finanziaria promosso dall’Università di Udine e dal Comune di Pordenone, aveva affermato senza giri di parole: «La Santa Sede ha un deficit strutturale, da sempre, che si aggira tra i 50 e i 60 milioni di euro l'anno. Se dovessimo coprire questo deficit soltanto tagliando le spese, dovremmo chiudere 43 delle 53 entità che fanno capo alla Curia romana, e questo non è possibile. Quindi, dobbiamo lavorare tantissimo per incrementare i ricavi».

«La prima cosa che ti dicono quando arrivi – ha aggiunto  –  è che la Santa Sede non è un'azienda. Quindi tutte le decisioni economiche devono considerare questo aspetto». Perché in generale, invece, «dal punto di vista economico sarebbe molto facile risolvere tutti i problemi. La Santa Sede è una piccola realtà economica, chiunque abbia responsabilità in una azienda sa perfettamente come risolvere i problemi economici della Santa Sede». Tuttavia il problema è che, al contempo, «bisogna implementare la missione della Santa Sede, quindi l'equilibrio non è facile e la soluzione non è facile».

ANSA

Fra l’altro, la stagione della trasparenza sui bilanci vaticani pare essere già conclusa. Gli ultimi dati disponibili risalgono infatti alle previsioni di due anni fa, era il gennaio 2022. Ma da allora si sono perse le tracce delle cifre reali. In ogni caso, per quell’anno era previsto un deficit totale di 33 milioni di euro. L’allora prefetto della Segreteria per l’economia, il gesuita Juan Antonio Guerrero Alves, spiegava un cambiamento di metodo importante: il perimetro degli enti compresi nel bilancio della Santa Sede era passato infatti da 60 a 90, una decisione presa per avere «più visibilità, più trasparenza e più controllo».

«Siamo preoccupati – aggiungeva padre Guerrero – di non avere una visione dei rischi fuori dal bilancio,  e del fatto che quando ci sono problemi ricadono sulla Curia». Il budget della Santa Sede, grazie a questo “accorgimento”, passava da 300 a circa 800 milioni l’anno, con entrate pari a 770 milioni e uscite di 803 milioni. Per capirsi, entravano fra i nuovi enti messi a bilancio, ricordava ancora il religioso, «l'ospedale pediatrico Bambino Gesù, l'ospedale Casa Sollievo della Sofferenza, alcune fondazioni strumentali ai dicasteri, il fondo pensioni, il Fondo di Assistenza Sanitaria, le quattro maggiori basiliche romane e i santuari di Loreto, Pompei e Padova. Ciò significa che siamo passati dal considerare un bilancio di circa 300 milioni di euro a uno che supererà il miliardo di euro».

Un bel salto, non c’è che dire, del quale però non si è saputo più nulla; lo stesso Guerrero si è dimesso per imprecisati motivi di salute nel novembre del 2022, lasciando il posto a Caballero Ledo. Infine, per avere un’idea del calo delle offerte dei fedeli, amplificato dal covid, si pensi che l’obolo di San Pietro, strumento essenziale per la sopravvivenza finanziaria della Curia e della missione della Chiesa (dalle spese per le nunziature a quelle per la comunicazione), si aggira attualmente intorno ai 40 milioni l’anno, e ha fatto registrare un calo del 23% fra 2015 e 2019, del 18 per cento nel 2020, primo anno della pandemia. Nel 2022, tuttavia, l’obolo tornava in alto facendo registrare entrate per 107 milioni di euro; però la parte relativa alle offerte era solo di 43 milioni, il resto derivava da «una significativa plusvalenza» ottenuta «grazie alla vendita di beni immobili del Fondo Obolo di San Pietro». E appunto il patrimonio immobiliare è l’ultimo baluardo, per la verità assai imponente, delle ricchezze vaticane.

© Riproduzione riservata