C’è l’accordo tra presidenza tedesca ed Europarlamento per vincolare l’erogazione dei fondi europei al rispetto dei principi democratici. Niente soldi per chi tradisce la rule of law, lo stato di diritto: equilibrio fra poteri, indipendenza dei giudici dall’esecutivo, pluralismo dei media, e così via.

Finora, quando l’Ue ha preso l’iniziativa di fronte a violazioni dello stato di diritto (con Polonia e Ungheria) l’iter si è arenato: serviva l’approvazione all’unanimità dei governi; e i paesi in causa si coalizzavano frenando tutto. Nel 2018 la Commissione ha proposto che il rispetto dello stato di diritto, se rappresenta anche una garanzia finanziaria (giudici non indipendenti, corruzione, mettono a rischio gli investimenti), diventi una condizionalità per l’erogazione dei fondi Ue. L’accordo trovato ora è una rielaborazione (un po’ al ribasso, per le pressioni di alcuni governi) di questa proposta.

Come funziona

Funzionerà così: la Commissione, anche sulla base dei report che stila dal 2020, rileva una violazione della rule of law che compromette il buon uso dei fondi. Invia al paese una segnalazione e propone misure per risolvere il vulnus: «Una delle finalità è proprio di dissuadere, prevenire le violazioni», dice Zita Herman che era nella sala dei negoziati.

Appurato che il problema sussiste, Bruxelles pianifica la riduzione o sospensione dei fondi. L’iniziativa va approvata in Consiglio, dunque dai governi, a maggioranza qualificata (55 per cento degli stati, che rappresentino il 65 della popolazione). Nella proposta del 2018 c’era la reverse qualified majority (la maggioranza serve per bocciare): è il punto più rilevante caduto nel compromesso.

Il Consiglio vota entro un mese, con margine di due mesi (“freno di emergenza”). I beneficiari finali (ad esempio studenti, associazioni) non vanno penalizzati per le storture del loro governo, che deve garantir loro comunque i fondi.

Fumata bianca

Sul nesso tra fondi e diritti, il Consiglio europeo, che a fine luglio ha trovato un accordo su bilancio e fondo di ripresa, aveva formulato solo vaghe intenzioni, anche per l’opposizione di Ungheria e Polonia, nel mirino dell’Ue per le violazioni della rule of law. Quattro famiglie politiche europee - popolari, socialdemocratici, liberali e verdi - hanno insistito nell’Europarlamento sulla necessità di una condizionalità.

Dopo oltre tre settimane di negoziati, è arrivata la fumata bianca. Ora i governi - in sede di Consiglio - dovranno dare un loro ok. Varsavia e Budapest avevano minacciato di bloccare il piano di ripresa nei parlamenti nazionali se l’Ue avesse insistito con la rule of law, ma la presidenza tedesca, che ha stretto l’accordo con l’Europarlamento, ha il polso di fin dove spingersi. Il Consiglio approverà l’accordo? «Sì», dice il ministro degli Affari europei Enzo Amendola. Aggiunge: «Lo spero».

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