Mentre nella Siria controllata dal governo di Damasco e nella porzione sotto gestione curda i cristiani continuano ad essere oppressi mediante sequestri di beni e confische di proprietà, nella zona nord-occidentale di Idlib, sotto protezione turca, il leader jihadista Abou Mohamed al Julani incontra pubblicamente i capi delle residue comunità cristiane per ascoltare le loro rimostranze.

La cosa è sorprendente perché al Julani ha un percorso personale assai controverso: capo della sezione siriana di al Qaida, si era trovato in una situazione difficile con il manifestarsi dell’Isis.

Tra il 2014 e il 2015 la ribellione siriana era frammentata e sia al Qaida sia lo Stato islamico avevano l’ambizione di federarla o sottometterla. Quando l’Isis stava imponendosi come gruppo egemonico, le relazioni tra le due sigle maggiori del jihad si erano fatte sempre più tese fino alla rottura.

A quel punto l’organizzazione qaidista si era progressivamente avvicinata all’opposizione armata dell’esercito libero siriano (Sla), la parte equipaggiata dall’occidente. Così l’ex nemico numero uno era divenuto un cobelligerante e alla fine un alleato della parte sostenuta dal gruppo dei Friends of Syria, i paesi nemici di Damasco.

Da Jabhat al Nusra a Hts

Per tale ragioni la sezione di al Qaida siriana aveva cambiato nome iniziando a chiamarsi Jabhat al Nusra, e aveva preso parte anche a feroci combattimenti contro l’Isis. Le sue tecniche di guerriglia (tra cui l’utilizzo dei kamikaze) avevano permesso di contrastare la violenza assoluta del Daesh, presto imitate dai vari gruppi dell’opposizione armata siriana.

Verso la fine della guerra, agli sconfitti nemici del regime di Assad non era restato che trincerarsi nella ridotta di Idlib, sotto protezione turca. A quel punto al Julani ha mutato nuovamente il nome della sua organizzazione in Hayat Tahrir as Sham (Hts), cercando di affermarsi nell’area come l’organizzazione egemone.

Ciò implica un rimodellamento dell'immagine del gruppo in senso più aperturista e meno settario. Al Julani vuole far sapere che Idlib non è più un’area jihadista ma piuttosto uno stato islamico semi-moderato e non ostile alle minoranze.

Con ogni probabilità la Turchia appoggia tale evoluzione cercando di stabilizzare l’area fuori dal controllo del governo di Damasco. La volontà turca di dare avvio ad una nuova offensiva nell’area nord-occidentale siriana ha anche lo scopo di alleggerire la stretta contro Idlib.

Com’è noto, gli altri obiettivi turchi sono ridurre l’area sotto gestione curda e fare in modo che i suoi alleati siriani raggiungano la zona rurale a nord di Aleppo. All’interno di tali tensioni, l’Hts cerca di guadagnare autorità e aumentare la propria credibilità. A tale scopo ha neutralizzato i gruppuscoli più estremisti oltre che la sua ala più intransigente, ora in dissidenza.

Di conseguenza in tutta l’area c’è un generale miglioramento nel trattamento dei cristiani e delle altre minoranze (in particolare i drusi), modificando la politica di oppressione seguita dal 2018.

Il leader ha promesso maggior attenzione alle recriminazioni e ai reclami a riguardo della restituzione delle proprietà che la stessa al Nusra aveva sequestrato fin dal 2015. Al Julani ha accettato anche di formare un comitato che esamini tali richieste e restituisca ai cristiani le loro terre, campi o attività commerciali.

Operazione ambigua

Dal Natale 2021 le chiese avevano già riottenuto il permesso di celebrare pubblicamente le loro cerimonie e suonare le campane all’aperto. L’aspetto più doloroso delle persecuzioni contro i cristiani sono stati i rapimenti a scopo di riscatto, con torture, violenze e uccisioni, su cui il leader di Hts ha detto di voler fare luce.

L’ala salafita dissidente del gruppo sta contestando tali innovazioni, criticando il leader e accusandolo di voler ottenere l'approvazione della comunità internazionale. Dal canto loro le associazioni per la difesa dei diritti umani definiscono tale nuova politica di al Julani un tentativo di maquillage per far rimuovere l’Hts dalla lista delle organizzazioni terroristiche internazionali.

Nonostante l'annuncio di essersi dissociata dalla rete di al Qaida, molti osservatori ancora considerano Hayat Tahrir as Sham un raggruppamento jihadista estremista. L’eventuale restituzione delle proprietà ai cristiani e alle altre minoranze potrebbe essere un primo passo efficace per cambiare la percezione sul movimento.

Già nel 2018 un tentativo era stato fatto in questo senso ma non era apparso all'altezza delle attese: chi riotteneva i propri campi era costretto a firmare contratti di "utilizzo" con l’obbligo di fornire il 60 per cento del raccolto a beneficio di Hts. Molti proprietari cristiani avevano rinunciato all’ambigua offerta. Ora al Julani vuole andare oltre, anche per distinguersi dalla politica anti minoranze che il governo siriano sta portando avanti in questi stessi mesi.

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