Gli effetti su Gaza sono evidenti: l’arrivo di aiuti si sta ancor più riducendo. Ma che l’uccisione di sette operatori umanitari da parte dell’esercito israeliano possa davvero scuotere i più strenui alleati del governo di Israele è ancora da dimostrare. Per ora le amministrazioni occidentali più vicine – come Washington e Londra – mostrano imbarazzo più a parole che nei fatti.

Il presidente Usa Joe Biden ha espresso «indignazione». Il governo britannico ha chiesto spiegazioni. Ma le scelte di Benjamin Netanyahu non hanno provocato per ora uno strappo radicale a livello internazionale, nonostante il premier sia contestato in modo veemente dai suoi stessi connazionali, pure davanti casa sua, e per quanto Benny Gantz – leader di opposizione entrato nel gabinetto di guerra – abbia appena detto che «dovremmo andare al voto a settembre».

Questo mercoledì, nel mezzo della bufera diplomatica sugli operatori uccisi, il primo ministro britannico Rishi Sunak ha continuato a respingere l’idea di fermare l’invio di armi a Israele. Altrettanto fa la Casa Bianca di fronte alle richieste di fermare l’invio di armi Usa a Israele, o quantomeno di sottoporne a specifiche condizioni l’utilizzo a Gaza. E tanto Londra che Washington, in sede Onu, non si sono unite alla condanna dell’attacco israeliano contro una sede diplomatica iraniana in Siria.

Gli Stati Uniti di Biden si trovano alle prese con un complesso gioco di equilibrismi: da una parte ammoniscono l’Iran che è meglio non approfitti dell’episodio per reagire, dall’altra vengono a loro volta ammoniti da esponenti del governo Netanyahu che non si sentono supportati a sufficienza. E, in tutto questo, la base elettorale del presidente democratico in cerca di bis si erode proprio a causa della sua gestione del dossier israeliano. Qualora sia Donald Trump a trarne vantaggio, ciò potrebbe persino dar sollievo a Bibi Netanyahu, viste le affinità elettive destrorse.

Segnali di disturbo verso il governo israeliano arrivano dall’Unione europea, e in particolare dal governo socialista spagnolo: da Doha il premier Pedro Sánchez ha giudicato «inaccettabile» la reazione del suo omologo israeliano dopo l’uccisione degli operatori umanitari. Intanto a Bruxelles Peter Stano – che è portavoce di Josep Borrell, il socialista spagnolo che occupa l’incarico di Alto rappresentante dell’Ue – ha condannato l’attacco israeliano a Damasco.

Certo, l’Ue deve tuttora convivere con posizioni frastagliate al suo interno; ma più le mosse di Netanyahu si allontanano dal perimetro del lecito, più le posizioni critiche prendono spazio.

I morti, lo scandalo e il cibo

Questo mercoledì i corpi degli operatori di World Central Kitchen uccisi dall’esercito israeliano sono stati trasportati prima in Egitto, e poi nei paesi d’origine: tra i sette morti vi erano britannici, australiani, polacchi, palestinesi e un cittadino con doppia nazionalità americana e canadese.

Intanto tonnellate di cibo che l’ong Wck intendeva distribuire a Gaza sono state rispedite indietro. In una Striscia che già patisce fame e sete, e nella quale l’arrivo di soccorsi viene ostacolato da Israele, l’uccisione degli operatori sta avendo l’effetto di frenare ulteriormente la presenza e la distribuzione di aiuti umanitari.

Le condizioni proibitive nelle quali si trova a operare chi presta soccorso erano già state denunciate da tempo anche da svariate agenzie Onu, e le ong che operano nella Striscia testimoniano di sentirsi già da tempo «sistematicamente sotto attacco». A Gaza si contano decine di migliaia di morti, dei quali la gran parte sono donne e bambini.

Ma il raid che ha colpito i sette operatori, quasi tutti occidentali, rappresenta uno strappo ulteriore con l’opinione pubblica globale; costringe paesi come Polonia e Canada a chiedere indagini e convocare ambasciatori. «Il governo israeliano sta mettendo la nostra solidarietà a dura prova», ha detto il premier polacco Donald Tusk.

E intanto la vicenda compromette ancor di più gli aiuti: almeno due agenzie umanitarie hanno sospeso le operazioni e più in generale tutte sono costrette ad ancor maggiore cautela. Oltre alla morte di sette innocenti, si aggiunge l’ulteriore restrizione agli aiuti e quindi l’impatto nefasto per i civili di Gaza, in una situazione già estrema.

Questo mercoledì il capo di stato maggiore della difesa israeliana, Herzi Halevi, ha detto che «il raid non è stato effettuato con l’intenzione di danneggiare gli operatori di Wck» e ha parlato di «un errore conseguente a un’errata identificazione, di notte, durante una guerra, in condizioni molto complesse». Annunciando una «indagine indipendente» sul caso, ha aggiunto: «Non sarebbe dovuto succedere».

Wck aveva informato l’esercito israeliano dei propri spostamenti. Incrociando immagini satellitari e analisi di esperti, Bbc Verify ha ricostruito che le tre auto – di cui due blindate – che trasportavano gli operatori, e che si trovavano ad ampia distanza l’una dall’altra, sono state con ogni probabilità colpite con missili Spike lanciati tramite droni. Fonti della Difesa israeliana hanno confermato ad Haaretz che le auto erano chiaramente identificabili e identificate come appartenenti all’organizzazione umanitaria in questione. 

Biden, definendosi «indignato», ha detto che «Israele non fa abbastanza per proteggere gli operatori umanitari». Più tranchant Sánchez: le spiegazioni di Israele sono «insufficienti e inaccettabili; il governo conosceva gli itinerari di Wck». Questo mercoledì Israele ha condotto un raid in Libano, «per colpire una base di lancio missili verso Israele», e il governo ha detto che «la guerra col Libano non va esclusa». La comunità internazionale è molto più lenta nel contenere Netanyahu di quanto lui sia rapido ad amplificare lo scontro.

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