La situazione su fronte diplomatico resta molto fluida dopo l’annuncio a sorpresa del ritiro israeliano da Khan Younis, ma restano dubbi su cosa ciò significhi davvero per i circa 1,5 milioni di palestinesi che si rifugiano a Rafah dopo che un ufficiale militare ha detto che le truppe sono «lontane dal fermare» le operazioni a Gaza.

Intanto i palestinesi che sono stati costretti a lasciare le loro case a Khan Younis dall’offensiva militare israeliana hanno iniziato a ritornare con cautela, in piccoli gruppi, dopo che domenica Israele ha ritirato le sue forze di terra. Molti profughi hanno trovato i loro vecchi quartieri come una terra desolata.

Che la mossa del ritiro da Khan Younis sia solo tattica sembra chiaro dopo che l'esercito israeliano ha anche detto che si sta «preparando a passare dalla difesa all'attacco» al confine settentrionale con il Libano, dove ha avuto sempre più scontri a fuoco con Hezbollah in attesa della risposta iraniana al raid sul consolato di Damasco.

I negoziati

Una fonte egiziana ha rivelato che i negoziati al Cairo hanno registrato «grandi progressi» e che le trattative continueranno nelle prossime 48 ore. Le delegazioni di Israele, Hamas, Stati Uniti e Qatar lasceranno la capitale egiziana nelle prossime ore, ma è previsto il loro ritorno tra due giorni «per concordare gli articoli dell'accordo finale». Ma fonti israeliane hanno ridimensionato la possibilità di un’intesa imminente. «Ancora non vediamo un accordo all'orizzonte», hanno detto. Anche una fonte di Hamas ha riferito ad al Jazeera che per ora «non ci sono progressi».

Che succede dunque sul fronte diplomatico? Hamas afferma che la sua delegazione arrivata al Cairo si è incontrata con il direttore generale dell'intelligence egiziana Abbas Kamel. In un comunicato citato dai media locali, il movimento islamista palestinese ha ribadito le sue richieste: la completa cessazione dell'aggressione da parte delle forze israeliane, il ritiro di queste dalla Striscia, il libero ritorno degli sfollati dell'enclave palestinese alle loro aree e luoghi di residenza, soccorsi per i palestinesi e inizio della ricostruzione , un accordo per il rilascio dei prigionieri palestinesi in cambio degli ostaggi israeliani.

Se l'Egitto resta ottimista e parla di “progressi” in un documento, Israele e Hamas hanno “minimizzato” i risultati degli incontri. Tattica negoziale? Forse in un quadro dove dopo 6 mesi non è ancora chiaro chi gestirà Gaza dopo la fine delle ostilità.

La tregua umanitaria

Un alto funzionario egiziano ha detto al sito di notizie New Arab con sede a Londra, sostenuto dal Qatar, che «l'accordo si sta avvicinando intensamente», con una tregua umanitaria forse durante la festività dell'Eid al Fitr, dal 9 al 12 aprile, che segna la fine del Ramadan.

Ma sarà necessario comunque che Israele trovi anche nuovi equilibri politici all'interno del Paese con il partito dei coloni pronti alle proteste. Secondo il sondaggio Kan News, il 71 per cento degli israeliani pensa che Netanyahu dovrebbe dimettersi ora/dopo la fine della guerra a Gaza.

Il premier è anche sotto tiro dei “falchi” dopo il ritiro parziale delle truppe israeliane dal Sud di Gaza, e i partiti di destra al governo minacciano: «Non rimarrà al suo posto senza un attacco su larga scala a Rafah». A queste dichiarazioni ha aderito pubblicamente il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir.

Nel frattempo, il leader dell'estrema destra religiosa, Bezalel Smotrich, ha convocato i ministri e membri della Knesset, per consultazioni, che sono stati definite "urgenti" proprio sull'eventuale accordo per la liberazione degli ostaggi. Segnali inquietanti da non sottovalutare.

Il ritiro

Il ritiro tattico delle truppe israeliane dalla parte meridionale della Striscia di Gaza, ha avvertito il capo di stato maggiore delle forze armate di Tel Aviv, il tenente generale Herzi Halevi, non significa che la guerra contro Hamas sia finita. «Stiamo combattendo questa guerra in modo diverso», ha affermato Herzi.

Un riferimento agli attacchi mirati che stanno caratterizzando gli interventi nel Libano? Forse hanno avuto un peso anche le forti pressioni del presidente americano Joe Biden su Netanyahu.

I piani però per far entrare gli aiuti a Gaza attraverso il valico di Erez per la prima volta in sei mesi sono stati ritardati, ha detto un funzionario israeliano alla Cnn. Israele ha approvato (ma non attuato) la riapertura del checkpoint la settimana scorsa dopo le pressioni degli Stati Uniti.

Il fronte del Libano

Un comandante dell'unità di elite Al Radwan del movimento libanese filoiraniano Hezbollah è stato ucciso con altri due miliziani in un attacco israeliano al villaggio di Al Sultanya, nel sud del Libano. Lo hanno riferito fonti di sicurezza a Reuters.

Hezbollah ha reso noto da parte sua che un suo appartenente della cittadina frontaliera di Kafr Kila è stato ucciso. Le posizioni di Hezbollah a Kafr Kila sono state oggetto di un lancio di missili israeliano. Che la pressione di Israele si stia spostando in forza nel Sud del Libano?

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