Siamo al collasso totale di un vecchio ordine in Africa. L’influenza esterna, occidentale e non, tracolla definitivamente e gli africani decidono da soli.

Il golpe in Gabon colpisce al cuore la françafrique. Uno stato petroliero il cui presidente-padrone Omar Bongo, padre di Ali appena defenestrato, aveva cambiato nome (da Albert a Omar) e religione con tutta la famiglia, per poter aderire all’Opec e parlare da pari a pari con le monarchie petro-arabe. Ma non aveva mai cambiato schieramento: anzi si trattava di uno dei più fedeli alleati di Parigi, assieme alla Costa d’Avorio di Félix Houphouët-Boigny.

Per succedergli il figlio Ali Bongo aveva dovuto vincere una faida famigliare contro sua sorella Pascaline.

Colpito da un grave ictus, da anni Ali era tenuto in sella da una parte dell’elite gabonese e dai servizi di sicurezza legati a Parigi. Il Gabon è famoso come stato patrimoniale familista, una specie di Arabia Saudita in miniatura. La guardia presidenziale, probabilmente ispirata dai recenti avvenimenti saheliani (e dalla non reazione occidentale), ha messo fine alla dinastia Bongo approfittando delle ultime elezioni, truccate come le precedenti.

Tuttavia non si tratta di una ripetizione dei fatti saheliani né si vedono bandiere russe.

Un piccolo paese ricco

Il Gabon ha un reddito pro capite di 16.000 dollari annui e, anche se molta parte della popolazione è ancora in povertà, è un piccolo paese ricco con oltre la metà del Pil basata sugli idrocarburi, un settore controllato della Francia. Prima Elf-Aquitaine, poi Total: Parigi detiene il dominio sull’eldorado gabonese. Ora le cose cambieranno.

Il fatto che una parte dell’elite al comando abbia deciso di sbarazzarsi di tale egemonia significa che la fine del vecchio ordine africano è molto più vicina e le conseguenze molto più profonde di ciò che si potrebbe pensare. A rischio non sono soltanto i miseri paesi saheliani ma i ricchi stati costieri. La caduta di Bongo mette a repentaglio i sistemi camerunese, ivoriano, equatoguineano o beninese.

È possibile che l’epidemia dei golpe vada oltre l’Africa francofona. D’altronde le connessioni tra le crisi libica, sudanese ed etiopica sono evidenti: i vari attori che si combattono cambiano spesso alleanze, manovrando pericolosamente sul margine delle tensioni globali.

Si creano dei vuoti geopolitici che possono essere occupati da soggetti esterni spregiudicati, come alcuni Stati (Turchia, Russia, Cina, paesi arabi del Golfo ecc.), agenti privati (milizie, jihadismo ecc.) o reti criminali mondiali.

I regimi dinastici autoritari sono in pericolo a dimostrazione che la democrazia non è l’unica ad essere in crisi. Per resistere occorre una struttura politica di consenso che supporti chi governa: la famiglia o i clan non bastano più.

Sarà complicato per la Francia protestare in difesa di un regime dispotico e impostore, come lo sta facendo in Niger. Ma è proprio a Libreville che Parigi rischia di perdere di più.

© Riproduzione riservata