Ricevo con regolarità notizie da Antonio Guajajara, cacique (capotribù) dell’omonima etnia di indios dell’Amazzonia brasiliana. Antonio mi aggiorna sulle ultime vicissitudini nella lotta contro i cacciatori illegali di legname pregiato, e di come il gruppo di “guerrieri della foresta” che ha messo in piedi porta avanti le denunce sui soprusi e le violenze.

La nostra unica forma di comunicazione è WhatsApp, sin da quando ho avuto il suo contatto, un paio di anni fa. Audio, ma anche foto e video. Antonio al massimo scrive “ok” e ben presto ho capito che quando mando un testo che supera le due o tre parole lo metto a disagio, per cui ho smesso.

L’antennina che porta Internet nella terra indigena Caru, stato del Maranhao, è la prima cosa che Antonio mi fece notare quando andai a visitare il villaggio per raccontare la loro storia di resistenza contro la devastazione. La connessione è la conquista più recente del villaggio, dopo l’ambulatorio e una jeep. Sempre più gente ha uno smartphone ma le funzioni davvero usate sono una manciata, foto, video e soprattutto WhatsApp. Non c’è rete telefonica, per esempio.

Tra un villaggio dell’Amazzonia e la periferia di una metropoli come Rio de Janeiro non c’è molta differenza. Anche qui le reti sono esclusivamente i social. Milioni di persone dall’istruzione precaria dipendono dalla più semplice e geniale delle app, WhatsApp appunto, perché il sistema dei messaggi audio ha superato la barriera dell’analfabetismo. Quello totale e quello funzionale. Chi non sa scrivere o leggere manda audio, e chi prima si arrangiava con carta e penna oggi non ha più alcuno stimolo a migliorare. A che serve, alla fine?

Oltre l’occidente

Nelle ultime ore, in tutto il mondo, si sono fatti i conti di quanti miliardi di dollari ha perso Mark Zuckerberg in sette ore, ci si è autoflagellati sulla dipendenza da tre iconcine luminose e si sono tentati calcoli sui danni del blackout sull’economia mondiale. Ma si è vista anche una evidente differenza tra l’occidente evoluto e un paese in via di sviluppo: nel primo l’accento è stato posto sul silenzio delle comunicazioni, mentre un paese come il Brasile si è davvero completamente fermato.

Pensiamo all’economia informale, o nera, ai microbusiness che avvengono esclusivamente su Instagram e – tanto nelle metropoli come nel cuore della foresta – a centinaia di milioni di telefoni che non funzionano come telefoni ma sono protesi vitali. Non a caso le compagnie qui offrono pacchetti base con inclusi i consumi delle tre app di Zuckerberg, i più a buon mercato.

Vent’anni fa nel mondo ci si lamentava il digital divide, la frattura tra chi maneggia le tecnologie e chi non può farlo.

Il digital divide è reale

L’idea del tempo era spedire laptop a basso costo nel cuore dell’Africa, poi volontari smanettoni di informatica e alla fine illuminare il tutto con il web dai satelliti. Poi sono arrivati i social e gli smartphone a portata di tutti. Ciliegina sulla torta le app che può usare persino chi non sa scrivere. Non solo per augurare buon compleanno alla zia, ma per sopravvivere. Ma l’illusione di aver risolto così il digital divide dura lo spazio di un blackout planetario. La differenza è ancor più stridente che in passato.

Senza quel feticcio noi dobbiamo solo tirare il fiato e aspettare che si riaccenda, o tirar su il caro vecchio telefono. Ma molta gente lunedì sera in giro per il mondo non ha portato a casa la cena.

 

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