«I numeri sono molto più alti di quanto ci aspettassimo. Io di certo speravo in una cifra più bassa». In un caffè di Podil, il quartiere della movida universitaria di Kiev, Anton Grushetsky mostra le cifre delle sue ultime ricerche. Insieme ai colleghi dell’Istituto di sociologia di Kiev è tra gli ultimi rimasti a produrre sondaggi nel paese in guerra: un compito complicatissimo a causa dei milioni di persone fuggite, impegnate a combattere al fronte o nei territori occupati dalla Russia. Eppure, Grushetsky e i suoi colleghi hanno fiducia nei risultati dei loro studi, così come ce l’hanno i colleghi internazionali, che riprendono i loro numeri sulla stampa internazionale e negli studi accademici.

La ricerca a cui si riferisce mostra che un anno e mezzo dopo l’invasione lanciata da Putin nel febbraio 2022, circa l’80 per cento degli ucraini conosce personalmente almeno una persona che è stata uccisa o ferita nel conflitto. In media ne conosce molti di più: almeno sette, secondo la ricerca. Significa che ogni singola famiglia ucraina è stata toccata in qualche modo dal conflitto. A guerra in corso, queste ricerche sono tra i rari strumenti a nostra disposizione per farci un’idea delle dimensioni della tragedia umana che sta attraversando l’Ucraina.

I morti civili

Quando un’esplosione ha distrutto la diga di Nova Khahovka allagando la città di Kherson, Vera Shumkova, 78 anni, era stata fortunata. Costruita su un piccolo rilievo, la casa dove viveva con il marito era stata risparmiata dall’alluvione che aveva devastato le abitazioni a poche decine di metri di distanza. Ma un paio di mesi dopo, una granata di mortaio russa ha colpito il tetto dell’abitazione. Nell’incendio, suo marito è morto soffocato e lei si è salvata perché era a lavorare nel piccolo orto. «Mi aveva parlato pochi minuti prima dell’esplosione – ha detto Shumkova quel giorno – mi aveva detto che sarebbe andato a dormire un poco».

In tutta l’Ucraina, storie come quella di Vera Shumkova si susseguono quotidianamente da un anno e mezzo. A Kherson, dove ucraini e russi sono separati soltanto dal fiume, i bombardamenti sono praticamente costanti. A metà agosto, un’intera famiglia di sette persone è stata spazzata via da una granata di artiglieria in un villaggio pochi chilometri a sud della città.  Anche se il massacro di Bucha e la prigione di Yahidne, in cui 11 civili sono stati lasciati morire nel sotterraneo di una scuola, hanno lasciato un’impressione indelebile nell’immaginario collettivo e sono diventati un simbolo della brutalità dell’invasione, l pericolo più grande per i civili sono i bombardamenti come quello che ha distrutto la casa di Vera Shumkova. 

Secondo l’ufficio per i Diritti umani delle Nazioni unite (Ohcr), in Ucraina oltre il 90 per cento dei morti e dei feriti tra i civili è stato causato da ordigni esplosivi e quattro quinti degli episodi si sono verificati nei territori controllati dal governo di Kiev.

Le città e i villaggi sul fronte sono i luoghi più pericolosi, ma con l’eccezione delle aree più remote nell’Ucraina occidentale, nessun luogo dell’Ucraina è davvero al sicuro. Due settimane fa, due guardie di sicurezza sono morte in un attacco missilistico contro la capitale Kiev e frammenti di droni e missili russi sono precipitati nel centralissimo distretto di Shevchenkivsky.

Nessuno conosce il numero reale dell’entità della strage di civili. L’Ohcr ha confermato la morte di 9.511 persone e il ferimento di altri 17.206. Ma nei suoi rapporti specifica che le cifre reali sono molto più alte. «La ricezione di informazioni dalle località dove si sono verificate ostilità particolarmente intense non può essere ottenuta puntualmente e molti casi sono ancora in attesa di conferma».

Queste cifre non tornano con i numeri emersi dalle ricerche di Grushetsky e del suo istituto. «Le Nazioni unite sono per loro natura un’organizzazione burocratica e inefficiente», dice. Ma anche il numero delle morti confermate dal governo ucraino, 16.500, che utilizza criteri meno severi delle Nazioni unite, ma comunque stringenti, non lo convince. «Come possono confermare la morte di centinaia di persone rimaste sotto le macerie delle loro case in città come Mariupol?». Nella città diventata famosa per l’assedio dell’acciaieria Azovastal, le autorità cittadine stimano che fino a 25mila persone potrebbero essere rimaste uccise. Secondo Grushetsky, le cifre dell’Onu sono sbagliate di almeno un ordine di grandezza. Il numero reale dei morti civili in tutto il conflitto potrebbe essere vicino a centomila.

I morti tra i militari

Ruslan Havryliuk, 37 anni, appoggia le stampelle e tenendo alto il mento inizia a camminare. Zoppica un po’ dalla gamba sinistra, ma riesce ad arrivare in fondo alla stanza. A quel punto si gira e con un sorriso di trionfo rifà lo stesso percorso. Havryliuk è stato ferito a Bakhmut lo scorso marzo, nella fase più intensa di quella che è diventata famosa come la più lunga e sanguinosa battaglia di tutta la guerra. Una scheggia gli ha lasciato una cicatrice a forma di mezzaluna sulla sommità del capo. È rimasto in coma per cinque giorni, ha avuto un infarto, che ora gli causa problemi alla gamba sinistra, e se non fosse stato per i suoi compagni di battaglione non si sarebbe più svegliato, dice. Oggi, nella clinica di riabilitazione situata nell’ospedale numero 2 di Bila Tserkva, a un’ora a sud di Kiev, un centro pubblico-privato per la riabilitazione post infarto tra i più moderni del paese, ha finalmente iniziato a camminare senza supporto.

Havryliuk fa parte del crescente numero di soldati ucraini che tornano feriti dal fronte. I veterani con arti artificiali o evidenti fasciature sono ormai una vista comune in tutte le principali ucraine. Gli aiuti che ricevono dallo stato hanno ancora un’impostazione sovietica. Oltre a una piccola pensione gli spetta una linea telefonica e una radio. I privati cercano di rimediare a quello che il pubblico non riesce a fare. Strutture private come Veteran Hub, fondata nel 2020 da un gruppo di ex militari, si occupano di fornire loro il supporto psicologico, burocratico e al reinserimento nella società.  

«Aspetto il giorno della fine della guerra e al tempo stesso ne sono terrorizzato», dice Artem Denysov, psicologo militare e uno dei fondatori dell’organizzazione. Originario di Bucha, a pochi chilometri da Kiev. All’inizio dell’invasione, dopo aver portato la moglie e la figlia al sicuro nell’Ucraina occidentale, si è arruolato volontario e ha servito per quattro mesi in un’unità di evacuazione medica nella battaglia di Kiev. Oggi dice che una famiglia ucraina su tre ha un parente che ha avuto esperienze di combattimento. «Dopo la vittoria - dice nel centro per veterani che ha fondato a Kiev insieme ad altri commilitoni - Saremo una società un poco spezzata, nel corpo e nella mente. Non so cosa accadrà quando capiremo il prezzo che abbiamo pagato».

Il governo ucraino non fornisce ufficialmente cifre sulle perdite subite in combattimento, anche se lo scorso giugno, il presidente Volodymyr Zelensky aveva ammesso che ogni giorno veniva uccisi cento soldati ucraini e altri seicento rimanevano feriti. Secondo fonti del Pentagono, allo scorso 18 agosto i soldati ucraini uccisi erano 70mila e altri 120mila i feriti. Per fare un raffronto, sono più di tre volte tutti i morti subiti dalle forze armate israeliane dal 1948 ad oggi, più di tutti i morti americani in Vietnam e più di tutte i soldati uccisi nei vari conflitti nella ex Jugoslavia. Secondo tutte le stime, le perdite militari russe sono ancora più gravi.

Le conseguenze

I sondaggi dell’Istituto di sociologia di Kiev indicano che nonostante il crescente costo del conflitto, gli ucraini sono ancora determinati a proseguire il conflitto. In un sondaggio di pochi mesi fa, quasi il 90 per cento degli intervistati diceva di non essere disposto a fare concessioni territoriali in cambio della pace. Grushetsky specifica che se la domanda viene fatta in modo più preciso, la risposta cambia, ma non di molto. Sulla Crimea, ad esempio, il 40 per cento degli ucraini è favorevole a una demilitarizzazione che non comporti un’immediata riconquista militare. Nel frattempo, Zelensky, che della riconquista di tutta l’Ucraina ha fatto da oltre un anno il punto centrale della sua politica militare, continua a godere di un sostegno senza precedenti. Piegata dalle perdite e dalle sofferenze, quella Ucraina rimane una società che non si è ancora spezzata.

© Riproduzione riservata